Shame - La Recensione

Poco più di due anni fa, a Cannes, nella sezione Un Certain Regard, veniva presentata una pellicola intitolata “Hunger”, interpretata da un ancora sconosciuto Michael Fassbender e diretta da un regista alla sua prima vera esperienza cinematografica, un tale Steve McQueen. Questa pellicola, distrattamente non distribuita in Italia, riscosse moltissimi apprezzamenti positivi e concluse la sua esperienza nella manifestazione francese con la conquista della Caméra d’Or alla miglior opera prima. Un successo forse inaspettato ma figlio della collaborazione tra due amici destinati a fare ancora grandissime cose insieme. Un esempio concreto ne è la deliziosa ultima fatica filmica del regista inglese. 

Quando una storia ha la possibilità di esordire con una scena d'apertura potentissima, fatta esclusivamente di immagini e musica in crescendo, come quella in metropolitana presente in "Shame", allora è il segnale che il tocco di chi la sta raccontando è sicuramente di un livello superiore alla media. Se più avanti poi ti ritrovi ipnotizzato tra gli elegantissimi primi piani di una Carey Mulligan straripante in versione cantante, impegnata a reinterpretare in modo molto personale e commovente la canzone “New York, New York”, allora è veramente il momento di iniziare a pensare che la classe non sia per niente acqua. Ma la ciliegina sulla torta arriva quando Steve McQueen decide di deliziarci ancora di più mettendo sul piatto la tecnica cinematografica divenuta oramai una sua caratteristica per eccellenza: il piano sequenza. Dopo quello della durata di ben quindici minuti presente in "Hunger" anche stavolta il regista inglese propone nuovamente lunghe e numerosissime scene sfruttando intelligentemente la stessa tecnica ma sempre in un modo incantevole e uniformandola al servizio delle scene e delle forti emozioni.

Le stesse che arrivano attraverso l'evoluzione violenta e impetuosa del rapporto tra il Brandon di Michael Fassbender e la sua “sorellina” Sissy (interpretata da Carey Mulligan), quando quest'ultima piomba improvvisamente in casa del fratello a tempo indeterminato. Una tegola enorme per un uomo sessualmente malato e abituato a soddisfare i propri impulsi abordando continuamente donne sconosciute o chiamando in casa amiche prostitute. La forzata convivenza tra i due diventa in un lampo altamente insostenibile per entrambi, provocando una serie di turbamenti destinati poi ad esplodere in un intensa e devastante tempesta viscerale. A consumare le vite dei due protagonisti un enorme fragilità emotiva mai contrastata, responsabile principale non solo dei loro instabili comportamenti ma anche di un costante allontanamento e di una conseguente e dolorosa autodistruzione diretta verso l'inferno e ritorno. Essa darà sfogo a un inevitabile discesa agli inferi fatta di peccati e sensi di colpa, tutta sprigionata durante le battute finali grazie a un torbido, sporco percorso risanabile solamente con un incessante pioggia battente, quella che finalmente sarà in grado di ripristinare, attraverso un momento fortissimamente liberatorio, un po' di serenità e nuova voglia di vivere.

Presentato in concorso alla 68esima edizione del Festival di Venezia, “Shame” sorprende in primis per le eccezionali doti registiche manifestate dal regista Steve McQueen. Di sicuro un talento da tenere sott'occhio, se "Hunger" lo aveva sussurrato, questo secondo lavoro lo grida a squarciagola. Una vicenda sconvolgente, splendida e ottimamente interpretata: a tal proposito da ricordare la meritata vittoria della Coppa Volpi attribuita a Michael Fassbender a Venezia. In chiusura, visto che se ne parla sempre pochissimo, è obbligatorio spendere alcune parole anche nei confronti della "eterna dimenticata" Carey Mulligan, ad ogni nuova interpretazione sempre più convincente e sublime, insomma, un attrice meravigliosa.

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