Die Hard: Un Buon Giorno Per Morire - La Recensione

Il successo di una saga cinematografica giunta al quinto capitolo, non può essere giustificato unicamente da quell'incognita che molti di noi chiamiamo fortuna. Diventare prolifici significa aver tenuto a mente uno schema, seguito regole ferree, precise, non aver mai deluso quella fetta di spettatori che ha imparato a conoscere l’eroe, missione dopo missione, come le proprie tasche dei pantaloni. Nello specifico, “Die Hard” parlando, ciò significa non tradire il personaggio di John McClane, e con lui il manuale sacro da seguire alla lettera se si vuole realizzare una nuova avventura mozzafiato con il poliziotto (recentemente promosso a detective) duro a morire protagonista.

Prendersi qualche licenza poetica non è un divieto, tutt'altro, portare del nuovo, sorprendere, aggiornare, è assolutamente consentito dal gioco, ma rivoluzionare un franchise illustre per allinearlo ai più comuni film d’azione, ultimi arrivati, è un’inadempienza che John Moore paga, e anche molto cara. Il suo “Die Hard: Un Buon Giorno Per Morire” si fa forte esclusivamente del nome di John McClane, raddoppiandolo addirittura con un duetto tra padre e figlio tra i più deboli della storia del cinema. Manca il respiro a questo capitolo, manca ironia. C’è azione infinita dall'inizio alla fine, ma è un azione fiacca, gratuita, che aiuta solamente alla discesa una pellicola fracassona e scritta malissimo (da Skip Woods), specie nei (pochissimi) dialoghi. Jai Courtney fallisce l’affiancamento a Willis sia come prole che come possibile erede, mettere gran parte del tempo la palla in mano a lui sfavorisce ulteriormente un flusso adrenalinico già malandato e forzato, la mancanza basilare, inoltre, di un cattivo “alla Die Hard”, e quindi carismatico e mentecatto, non fa altro che eliminare persino la possibilità di assistere a quelle scenate graffianti tra McClane e l’antagonista di turno, disorientandoci ancora di più a credere a quel che stiamo vedendo.

Cambiare va bene, insomma, ma con logica. Moore invece si disinteressa dell'onore che gli passa tra le mani e lo impasta come fosse solamente un’operazione puramente commerciale. Di vero “Die Hard” allora rimane poco, pochissimo, un paio di scene uscite fuori, a questo punto forse per caso, chissà, o magari per illuminazione dello stesso Bruce Willis, che di certo conosce meglio di Moore il suo personaggio. La migliore è nella sala da ballo dell’hotel dove finalmente McClane ci dimostra almeno di non aver perso lo smalto e lo stile nel divertirsi, e se davanti a lui c’è un russo con un mitragliatore puntato poco importa, nel suo raffinato repertorio ce n’è per tutti.

La parola d’ordine allora diventa: dimenticare in fretta. Per uno spettatore comune, “Die Hard: Un Buon Giorno Per Morire” sarà solamente un pessimo film d’azione, per un fan però è una mancanza di rispetto vera e propria al Mito di John McClane. Fortunatamente, tuttavia, quando si parla di Mito, di positivo c’è che questo non muore mai con un colpo basso, il Mito sopravvive, il Mito rimane. Per quanto si sia impegnato fortemente quindi, Moore non ce l’ha fatta a distruggere “Die Hard”, un sesto capitolo è già stato annunciato e quando sarà il momento, per noi, di questo quinto non ce ne sarà già più traccia.

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