Into Darkness: Star Trek - La Recensione

Certo di più non si poteva chiedere a J.J. Abrams, questo bisogna dirlo. Il suo impegno nei confronti di Star Trek è stato a dir poco stupefacente. Nessuno era mai riuscito a portare a livelli cinematograficamente così alti la serie ideata da Gene Roddenberry, lui invece ha aspirato via completamente la scomoda oscillazione di un tempo, conquistando incondizionatamente vecchi e nuovi appassionati e compiendo un lavoro di fino con un reboot ingegnoso e affascinante.

Con "Into Darkness: Star Trek" quindi la missione non ripartiva più dalla realizzazione di un episodio ragguardevole, quanto dal prolungamento di un discorso logicissimo che affluiva nell'espansione interiore dei personaggi, andando a caratterizzare ulteriormente i già noti e inserendo delicatamente i nuovi senza perdere di vista il villain di turno, forte di una fama non indifferente e perciò destinato ad essere impiantato meticolosamente nell'amalgama.

Chi meglio di Abrams e della sua troupe allora - la stessa che lavora insieme da sempre, da quando si occupava ancora solamente di televisione - poteva eseguire egregiamente un lavoro simile. Allungare temporalmente un franchise episodico come Star Trek è un processo che non si discosta poi molto da quello appartenente alla prosecuzione di una serie tv e per questo, più che avere in mano una storia sistematicamente avvincente, il vero obiettivo stavolta era non fallire il cammino incalzante dei protagonisti. Di conseguenza "Into Darkness: Star Trek" si mobilita per portare a termine questo esercizio, il cuore pulsante viene racchiuso interamente nel rapporto tra Spock e il Capitano Kirk, assai equivoco per via delle diversità morali e per colpa delle risposte che entrambi vanno cercando per risolvere i problemi personali. Una situazione che proietta i due eroi in una dimensione di normalità comune, mostrando senza alcun remore la loro umanità assediata da insicurezze e paure: Kirk si domanda se è in grado di gestire e scegliere per il bene del suo equipaggio e Spock soffoca i suoi sentimenti per non soffrire come gli è capitato durante la distruzione del suo pianeta. Intorno chiaramente il pericolo incombe e ad impersonarlo è l'oscuro John Harrison (nome fittizzio) che, non a caso, è l’opposto speculare nonché nemesi perfetta di tutti e due: un superuomo invincibile e geneticamente modificato che da solo dichiara guerra alla Federazione.

Con una sceneggiatura non lucidissima, ma che ha il pregio di non fare acqua da nessuna parte, "Into Darkness: Star Trek" fa perciò onestamente il suo lavoro, non raggiungendo magari la proporzione equa tra qualità e divertimento che aveva il suo capostipite ma senza neppure farsi trovare impreparato in qualche determinata occasione. Abrams agisce di esperienza, gioca su terreni che ben conosce e si muove con scioltezza anche su temi a lui molto cari. Da buon nerd non dimentica neppure il fascino della citazione (anche di sue opere) e ne approfitta per esorcizzare finalmente quel meccanismo divenuto insistente da "Il Cavaliere Oscuro", connesso alla mania dell'antagonista di lasciarsi imprigionare per poi distruggere con un piano apposito i suoi rivali dall'interno.

Capace come pochi di sfornare prodotti di livello altissimo, J.J. Abrams si conferma attualmente così il miglior regista di fantascienza in attività, ed il merito va soprattutto alla sua squadra di fedelissimi amici e collaboratori con i quali ha raggiunto ormai un’intesa artistica tale da consentirgli di lavorare ad ogni (poderoso) progetto con scioltezza e tranquillità. In questo secondo appuntamento trekkiano allora il regista non fa altro che muovere il franchise di un passetto più avanti, virandolo nella direzione che più gli spetta e svestendolo totalmente di quell'abito improprio indossato temporaneamente per il nuovo inizio.
Promettendoci in realtà un bello che deve ancora venire.

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