Eden - La Recensione

Apparentemente incentrato sulla scalata della musica elettronica, che agli inizi degli anni novanta aveva catturato l'attenzione della massa giovanile francese - quella spensierata e discotecara non molto dissimile da quella di oggi - in realtà "Eden" è l'ennesima di quelle pellicole che fingono di voler parlare di una cosa per poi dire tutt'altro.

Se esiste sicuramente infatti un cerchio che racconta l'ascesa, come la decadenza, di un genere musicale a cui si agganciano anche i Daft Punk, ancora di più nella pellicola della regista francese Mia Hansen-Løve si intravedono i tratti marcati, riservati a una gioventù piena di sogni e speranze di successo, che attraverso lo scorrere del tempo si scontra con un muro che non sempre paga tanto quanto loro vorrebbero. Il centro nevralgico di "Eden" è il ragazzo-DJ Paul, che inizialmente riesce a farsi largo nella movida parigina (e non solo), con il suo team di fedelissimi amici con cui lavora ai mix dei pezzi, cercando sempre il miglior modo di accontentare i fan e di accrescere la fama. La sua è una vita che però - serate in disco a parte - gira sempre a vuoto, priva di sostentamento solido e per questo non accettata nemmeno da una madre che lo vorrebbe più preoccupato per un futuro tranquillo e sicuro. Solo che a Paul la vita del giovane playboy spiantato non dispiace, non ne vuole sapere di modificare il suo stile da Vip, con cui, tra l'altro, conquista ragazze ad oltranza e presenzia party sparsi un po' ovunque tra Parigi e Stati Uniti.

La suddivisione in due capitoli - a loro volta suddivisi anch'essi dalle annate che passano - serve allora alla Hansen-Løve per raccontare come in oltre un decennio di crescita, il suo protagonista fatichi a fare i conti con sé stesso e con il mondo intero, un mondo che nel frattempo non lo aspetta e procede da solo, portando con lui anche le vite dei suoi amici che pian, piano si piegano alla realtà dei fatti: frammentata da delusioni, amori, accettazioni e sconfitte. Nemmeno la musica elettronica sembra essere superstite a tutto ciò, scavallata lentamente dall'arrivo di altri generi e altre generazioni, che chiedono a gran voce la riproduzioni di nuovi brani con cui lui non ha intenzione di entrare in contatto. Il complesso di Paul - paragonabile a quello di Peter Pan - si ritorce quindi contro di lui, schiacciandolo prepotentemente come mai aveva fatto prima. L'illusione di staticismo che pensava la vita potesse avere improvvisamente scompare mettendolo davanti allo specchio già grande e con strappi da rattoppare.

E' l'epilogo tosto tanto quanto salvifico di un anima perduta nella confusione della giovinezza a cui la Hansen-Løve, alla fine, si appassiona, lasciandogli quella speranza di poter riordinare e ripartire senza tenere addosso cicatrici troppo vistose.

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