Frank - La Recensione

Jon è un tastierista, aspirante autore di canzoni, alla ricerca dell'occasione che gli consenta di mettersi in mostra e di svoltare. Gli impronunciabili Soronprfbs sono invece una band sconosciuta e alternativa, alla ricerca proprio di un tastierista dopo che il loro ultimo si è lasciato andare alla pazzia più totale finendo dritto, dritto in manicomio.
Neanche a dirlo, il caso li farà incontrare.

Siamo lontanissimi però dalla solita unione casuale e fortunata che sfocia in successo, sesso, droga e rock'n'roll, perché a tenere banco nella pellicola diretta da Lenny Abrahamson è costantemente l'incapacità, o se preferite, la non volontà di quasi tutti i personaggi di accettare il testa a testa con un successo che, perlomeno a livello mediatico, non tarda ad arrivare. A dirla così suona strano, in effetti, eppure il denominatore principale che accomuna ogni componente degli Soronprfbs è la paura di essere accettati su larga scala e di affrontare una quantità di pubblico che trasbordi da quella manciata disinteressata e casuale, presente negli sgangherati live a cui spesso amano mostrarsi. La risposta all'interrogativo, tuttavia, risiede interamente nelle apparenze singolari di un front-man che vive costantemente con un testone di cartapesta incollato al collo (il Frank del titolo interpretato da un Michael Fassbender oscurato ma comunque efficace), protezione integrale di un viso che, cascasse il mondo, a nessuno è permesso conoscere (esiste addirittura un certificato!) e sospetta mossa di marketing che si rivelerà presto figlia di qualcosa di più profondo e limitante.

Secondo Abrahamson (che si è ispirato, per la testa, al personaggio reale di Frank Sidebottom) infatti è tutta questione di dimensioni, le stesse che variano da soggetto a soggetto, a seconda della personalità che lo contraddistingue. Per cui, come esiste chi ha bisogno di sentirsi amato e richiesto dal pubblico esiste anche chi, aspirando a fare lo stesso mestiere, vede il pubblico e la notorietà come un ingombro, un ostacolo da evitare e con cui faticare a relazionarsi. Un ragionamento un po' faticoso da comprendere, specialmente in tempi come questi dove il desiderio di affermazione viaggia a vele spiegate, e meglio fa il paio con i sogni di gloria del Jon protagonista, il quale forte di un ottimo lavoro virale cucito sui social network (sotto traccia) e di lecite aspirazioni, non ci pensa un secondo prima di spostare pesantemente gli equilibri del gruppo che lo ha accolto e svezzato, trascinandoli su un livello successivo per loro troppo arduo e insostenibile.

Per cui la fama diventa velocemente la sorella gemella del fiasco in "Frank", l'elemento distruttivo che sfalda le radici sensibili di un team di emarginati, conducendo nel baratro e nella solitudine del fallimento chi, in altri contesti, avrebbe dovuto solamente ringraziare la sorte. Un punto di vista inaspettato quello di Abrahamson che comunque non sfugge da un'ambiguità con la quale spinge a domandare più di una volta se il suo intento sia solo quello di ironizzare sui suoi personaggi oppure porti con sé anche dei tentativi di rivendicazione seri, legati alla libertà d'espressione.
Ma a prescindere dalla lettura un po' opaca, che inevitabilmente indebolisce la sua pellicola, di positivo c'è il tentativo di costringere il pubblico a riflettere in maniera inconsueta su un argomento che si credeva fortemente essere solo a senso unico. Privo, insomma, di quelle sfumature da lui identificate.

Trailer:

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