Ammore E Malavita - La Recensione

Ammore E Malavita Manetti
Ad un film dei Manetti Bros. è importante approcciarsi sempre con leggerezza, con la spensieratezza di chi ha voglia di evadere, divertirsi, consapevoli che i fratelli romani, innamorati di Napoli, hanno in mente un’idea di cinema ben chiara e precisa, indelebile anche quando tentano - vincendo la scommessa - di partecipare in concorso (o fuori), al Festival di Venezia.

Questo perché quando si fa cinema partendo dalla passione, dal cuore, tutto diventa possibile, raggiungibile, a prescindere dai mezzi a disposizione e dalla grandezza delle ambizioni. Con “Ammore E Malavita”, infatti, i Manetti non alzano l'asticella così tanto da discostarsi dai loro precedenti lavori, però decidono di aggiungere al loro marchio di fabbrica - tendenzialmente legato alla commedia e al thriller (che sia dal lato dei poliziotti, o da quello dei gangster come in questo caso) - l'approccio a quel musical che diversamente avevano cominciato ad accarezzare (chissà se per caso, o se preventivamente) in "Song'E Napule". Una scelta stilistica che va a rivoluzionare in gran parte quello che è il loro mondo, che inglobata a tutti gli effetti nello scheletro principale gli permette di rinnovare con il minimo sforzo parco comico e immaginifico, dando vita a un prodotto per certi versi estraneo all’industria cinematografica italiana e per questo, forse, dal carattere ancora più energico e trascinante del previsto. Certo, la storia porta con sé uno stampo decisamente classico, prevedibile nelle sue pieghe come nei suoi colpi di scena, e il loro modo di girare, a volte, pecca di una tecnica che, probabilmente, non sarà mai precisa e pulita come quella che dovrebbe addirsi a lavori di questo tipo, ma a compensare il tutto (e a compensarlo bene) ci pensano una serie di citazioni cinefile esplicite, battute azzeccate e canzoni pop, coreografate spesso in maniera volontariamente blanda, di fronte alle quali non si può che sorridere di gusto e, in rari casi, emozionarsi.

Ammore E Malavita Serena Rossi Giampaolo MorelliFanno quello che è nelle loro possibilità, insomma i Manetti e laddove devono arrangiarsi per raggiungere la cima, si arrangiano alla meglio, mettendo in campo l'esperienza e la destrezza assimilata in carriera e non perdendo mai empatia nei confronti della loro opera. Evidentemente se n'erano accorti loro per primi che "Ammore E Malavita" poteva essere il loro film migliore, che quel giocare coi stereotipi vincolati a Napoli e alla Camorra, utilizzando un certo modello di umorismo, poteva risultare un'arma incisiva e vincente, un po' come affidarsi a un cast di attori feticci per alleggerire il peso di un'avventura già di per sé poderosa e colma di rischi. Considerazioni legittime e raziocinanti che sicuramente hanno contribuito l’una con l’altra a portare a casa il convincente risultato finale, quello in grado di trasmettere allo spettatore tutta la sincerità e il sentimento impiegato, eclissando le sbavature sotto un tappeto che nessuno ha la voglia (e il movente) di alzare.

Un tappeto che, magari, prossimamente non sarebbe male riuscire a ripulire almeno in parte, ma che adesso può tranquillamente starsene isolato e lasciare il proscenio all'ammore overo di Ciro e di Fatima, un amore risbocciato sulle note e i passi di “What A Feeling” di “Flashdance”, qui napoletanizzato e alterato ad hoc al punto da non uscirti più dalla testa.


Commenti

  1. segnato, non posso perderlo, i Manetti mi piacciono ^_^
    Ps: fatti un giro dalle mie parti ;)
    http://lafabricadeisogni.blogspot.it

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