Kingsman: Il Cerchio D'Oro - La Recensione

La sensazione (che nasce guardando il primo capitolo) è che Matthew Vaughn non abbia progettato Kingsman per farne un franchise, o perlomeno non l’abbia fatto con l’intento di farne un suo franchise. Un messaggio che avevamo intuito da alcuni indizi sparsi qui e lì lungo la sceneggiatura del film d’esordio, quello fortunato a tal punto da aver rimescolato poi le carte in tavola e aver spinto il regista a tornare nuovamente sui suoi passi.

Già, perché se in quell’occasione tutto sembrava un pretesto scritto a tavolino da Vaughn per divertirsi e concedersi l’opportunità di mettersi alla prova con una spy-story dal gusto action, stavolta l’aria che si respira è quella volenterosa di chi ha intenzione di imporre a fuoco il proprio marchio sul prodotto: un po’ come fa, guarda caso, la trafficante di droga Julianne Moore coi suoi clienti per inoltrarli ufficialmente all’interno dell’organizzazione descritta nel titolo, quella del Cerchio d’Oro. C’è un approccio uguale ma diverso, infatti, in questo secondo Kingsman, un approccio che se da una parte è fedele a quello che Hollywood esige per i sequel - e quindi propenso a non discostarsi molto da ciò che ha funzionato e convinto, raddoppiando comunque le dosi di divertimento e di azione - dall’altra manifesta volontà di allargare prospettive e abbattere confini, mossa che per il suo regista (e sceneggiatore) potrebbe voler dire, in futuro, margine di manovra superiore e nessun perimetro limitante con cui fare i conti in fase di scrittura. Non è un caso allora se per entrare nel vivo della storia adesso sia necessario aspettare di trasferirsi in America, di scoprire che oltre ai Kingsman esistono gli Statesman e, forse, a questo punto, non solo loro. Un guizzo intelligente che, oltre a permettere di fare letteralmente il pieno di star, va ad appaiarsi al secondo, per certi versi matematico, che vede il ritorno in scena – decisamente folle per chiarimento – del personaggio interpretato da Colin Firth, pezzo da novanta ancora indispensabile se come leader hai un Taron Egerton molto bravo, ma parzialmente acerbo sotto l'aspetto del carisma e della personalità.

Ristrutturazione - eseguita con tanto di bombardamento a tappeto - che dona a "Kingsman: Il Cerchio D'Oro" uno slancio e dei spunti comici inediti che altrimenti non avrebbe mai saputo come procurarsi, esclusivi di un paese come quello a stelle e strisce che, dati alla mano, fornisce a Vaughn l'opportunità sia per compiere umorismo facile, tipico del britannico quando vede i (pazzi e violenti) cugini, sia per quello d'attualità: con un Presidente chiamato a gestire una situazione con milioni di americani in pericolo di vita che ostenta atteggiamenti ed esaltazioni mentali leggermente più deformate di quelle sciorinate negli ultimi mesi dall'attuale, neo-eletto, in carica. In questo modo un film che avrebbe potuto essere la copia carbone sputata e più nera del suo capostipite, rischiando di pagare per originalità perduta, trova i muscoli giusti per superarlo, migliorarsi e strizzargli l'occhio laddove avrebbe peccato di stupidità in caso contrario: recuperando le battute sessuali, il politicamente scorretto e, in particolare, aggiudicandosi la partecipazione di un Elton John on fire e irresistibile.

Certo, non avrebbe guastato ridurre di una mezz'oretta la durata della pellicola, sforbiciare un tantino la matassa, evitando di arrivare alle due ore e venti di durata finale che, vuoi o non vuoi, un pochino si fanno sentire. Poi, vabbè, per fortuna Vaughn ha la destrezza di rimediare alla questione con uno scontro finale in (finto) piano sequenza che è una gioia per gli occhi e tutto passa, tranne per quanto riguarda il franchise di Kingsman però che, al contrario, - e a noi non dispiace - promette lunga vita e prosperità.

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