Quello Che Non Ho - Neri Marcorè Illumina Il Ponte Tra Pasolini e De Andrè

Quello Che Non Ho Teatro

L’istinto è quello di tornare a casa e mettersi ad ascoltare Fabrizio De Andrè con un libro di Pier Paolo Pasolini in mano. Meglio se “Le Nuvole” del primo e “La Rabbia” del secondo.

È questa la prima sensazione che ti avvolge una volta usciti dal Teatro Brancaccio e aver visto “Quello Che Non Ho” di Neri Marcorè, uno spettacolo in cui si alternano proprio i pensieri e le parole di Pasolini alla musica e ai testi di De Andrè per raccontare un paese, l’Italia, imbruttito da una crisi d’identità e da un tumore (psicosomatico?) che mai come adesso sta facendo vedere i suoi effetti, ma che in realtà – e ce lo dicono proprio Pasolini e De Andrè – viene da lontano, lontanissimo anzi. Lo si afferra immediatamente dai Scritti Corsari di Pasolini che Marcorè ricorda, racconta e legge, pubblicati sul Corriere Della Sera tra il 1973 e il 1975, recuperati da lui quasi per caso un giorno in cui era a Napoli per assistere a un concerto di De Andre. Un’assunzione che all'epoca fece senza accorgersene e tutta d’un fiato, ingannando l'attesa che lo separava dalla musica e da uno sguardo - ma questo gli fu chiaro alla fine - che da quel giorno fu sicuramente diverso rispetto a prima.

Diretto da Giorgio Gallione e accompagnato sul palco - per lo più musicalmente - da Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini allora Marcorè cerca di (aiutarci a) fare chiarezza, di fare quello che molte persone nel loro privato - e molti italiani, in generale, anche - tendono molte volte a perdere di vista e a sottovalutare, ovvero emettere un lungo respiro, provando a ragionare e a interrogarsi. A capire come mai ci sembra di vivere un nuovo dopo-guerra, senza che la guerra si sia fatta viva, perché le prospettive del futuro appaiono così misere da farci impallidire solo a parlarne; quali sono i motivi che hanno spinto un paese straordinario come il nostro a ribaltarsi in posto da abbandonare o criticare spietatamente, nel pieno di un assurdo che ormai non solo ci contraddistingue, ma addirittura ci domina.

E se Pasolini questo, bene o male, lo aveva previsto e lo metteva nero su bianco, De Andre era uno dei pochi che nelle sue strofe già lo cantava. Cantava di un popolo poco lucido, distratto, che forse aveva appena voltato per quella strada che adesso lo fa ritrovare impantanato nella melma fino al collo. Una strada che però ha il vantaggio di poter essere percorsa anche all'indietro, con molta più facilità, se si vuole, di quella impiegata per procedere in avanti. Una strada che - e qui magari Pasolini era stato troppo negativo - non è vero che è irreversibile, perché può riportarci ancora sulla via del sentiero giusto, basti remare con tutto il corpo e non solo una minima parte.

E Marcorè, che questa strada ce l'ha almeno più chiara di chi sta al timone (e di noi?), prova ad illuminarcela, illuminandoci: con aneddoti per lo più veri, nonostante il paradossale, che ci fanno arrabbiare, ridere e restare di stucco, fin quando il suono delle chitarre ricomincia la sua melodia e le emozioni tornano a pulsare, avvolgendoci nell'armonia.

Per informazioni sullo spettacolo potete consultare la pagina ufficiale del Teatro Brancaccio, di Roma: https://www.teatrobrancaccio.it/stagione/stagione-2017-2018/964-quello-che-non-ho.html

Commenti