L'Ufficiale E La Spia - La Recensione

L'Ufficiale E La Spia Polanski
Sulla notorietà dell’Affare Dreyfus non posso esprimermi per insufficienza di dati, ma devo ammettere – onestamente e mestamente – di far parte di coloro – tanti?; pochi? – che non lo conoscevano affatto. Di sicuro una mia (grossa) mancanza, considerando quanto – e l’ho appreso documentandomi online – questa vicenda sia considerata Storicamente e politicamente determinante, sia per gli sviluppi di un paese come la Francia, che per le ripercussioni prodotte, di riflesso, in ambito europeo.

Eppure non è (solo) per puro senso documentaristico che Roman Polański ha sentito il bisogno di avvicinarsi a questo increscioso fatto di cronaca e di prendersi la briga di raccontarlo (nuovamente) al cinema, adattando il romanzo omonimo di Robert Harris (co-autore della sceneggiatura). Anzi, potremmo dire che è piuttosto evidente – se non addirittura scontato – che i motivi che lo hanno portato ad avvicinarsi a tale intrigo e a maneggiarlo con la cura di chi ha intenzione di non sbagliare neppure una virgola, siano indiscutibilmente altri. E per individuarli è fondamentale entrare nel merito degli eventi, specificando che, al centro della disputa, c’è la lotta giudiziaria intrapresa nel 1895 dall’ufficiale Georges Picquart, contro la tirannia dell’esercito francese: responsabile di aver accusato di alto tradimento il capitano ebreo Alfred Dreyfus e di averlo, infine, condannato al carcere, attraverso prove inesistenti o, peggio ancora, costruite. Disavventura che non può non far suonare nelle nostre teste quei campanelli legati al regista e alle accuse di stupro che da decenni lo rincorrono e lo tormentano: accomunandolo moltissimo al personaggio vittima degli eventi, dell’antisemitismo e dell’arroganza dei poteri (di stampo fascista), che in “L’Ufficiale E La Spia” è interpretato da Louis Garrel. Ma con questo Polański non intende trovare una modalità scorretta per dichiararsi pubblicamente innocente, perseguitato o chissà che cosa, non a caso la sua totale attenzione è rivolta non tanto al prigioniero, quanto all’uomo disposto a mettere a repentaglio il suo ruolo, la sua vita e il suo onore, pur di forzare il sistema e fare in modo che a venire a galla sia la Verità (qualunque essa sia).

L'Ufficiale E La Spia FilmUn dettaglio non da poco, che rende il conflitto de “L’Ufficiale E La Spia” qualcosa destinata ad andare oltre le questioni personali del suo autore. In una modernità dominata dai social network, dalle fake-news e dall’ipocrisia, infatti, Polański sente il bisogno di ribadire – di sottolineare – quanto sia importante – vitale quasi – fare in modo che qualunque accusa, notizia o sospetto, prima di cominciare a viaggiare e, potenzialmente, andare a seppellire o a crocifiggere la reputazione di una persona – che oggi è un processo praticamente istantaneo – deve basarsi su delle prove inconfutabili, verificate, ed effettive. Perché altrimenti, come scrive Émile Zola nell’articolo che a un certo punto rappresenterà un'enorme svolta, rischieremo di ritrovarci a vivere all’interno di una società pericolosa, in decomposizione: una non molto diversa, forse, da quella che se ci guardiamo intorno, possiamo già intravedere.

E la grandezza di un lavoro del genere, che al suo interno contiene dei messaggi così urgenti e così forti (e così giusti), è quella di riuscire a non perdere di vista, comunque e nonostante tutto, la sua funzione: risultando impeccabile nei toni, nella messa in scena e nella costruzione emotiva.

L’opera di un maestro al massimo della sua forma; che guarda al passato per raccontare il presente, sperando che da parte nostra ci sia la volontà – e la coscienza – di non guastare il futuro (visto che non tutto è reversibile, o sanabile).

Un futuro che non gli importa se lo vedrà colpevole oppure innocente, purché veda qualunque giudizio proclamato libero da abusi e da pregiudizi.

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