Vivarium - La Recensione

Vivarium Film
Una giovane coppia è alla ricerca di una casa, di un luogo adatto a portare la loro relazione al livello successivo. Tra le varie opzioni proposte dal mercato, si imbattono allora in quella di una stranissima agenzia immobiliare che li accompagna nel silenzioso, simmetrico e particolare complesso residenziale di Yonder: nello specifico all’interno di un appartamento dal quale non riusciranno più a trovare la via del ritorno.

Perché situato in una zona ai confini della realtà da cui – scopriranno presto – per uscire è necessario prendersi cura di uno strano neonato – consegnato in un pacco – al quale dovranno fare da genitori acquisiti, crescendolo come fosse un loro figlio.

Siamo in un territorio ibrido, è evidente, con il thriller, la fantascienza e l’horror che si incrociano e si mescolano a seconda dell’esigenza e dei momenti. La pellicola sceneggiata da Garrett Shanley e diretta da Lorcan Finnegan (il cui soggetto è stato ideato a quattro mani) è pensata prevalentemente per andare a disturbare a fondo lo spettatore, angosciandolo e trasmettendogli un senso di inquietudine, attraverso uno dei strumenti più utilizzati in questa materia: il bambino. Il piccolo Martin – questo è il nome – infatti è alla stregua dell’anticristo, non ha nulla a che vedere coi bambini normali: cresce a vista d’occhio, ha un timbro di voce più adulto rispetto alla sua età e simula i comportamenti dei suoi prestati-genitori, scadendo spesso nella loro imitazione speculare (dialoghi, timbro e movimenti). Sono spaccati in cui “Vivarium” arriva a mettere i brividi, a spaventare enormemente, distorcendo la realtà nel profondo, senza contaminarla con effetti speciali o con elementi soprannaturali (per quelli bisognerà attendere). Un incubo ad occhi aperti al quale Jesse Eisenberg e Imogen Poots – le vittime designate – sono costretti a sottostare, a resistere, in quanto prigionieri a corto di soluzioni utili per fuggire da quello che, dall’alto, somiglia a un labirinto suburbano artificiale, costruito – pare – sulla falsa riga degli stessi che possiamo trovare all’interno delle parole crociate.

Vivarium PootsPunta a colpire alla pancia quindi Finnegan, a stimolare reazioni con l’utilizzo delle immagini, dei suoni, tirando dentro a questa deformazione di vita ideale anche noi che, teoricamente, dovremmo esserne coinvolti in minima parte. Ma alle urla di Martin, ai suoi comportamenti dispettosi, alle sue ostentazioni umane, è impossibile restare indifferenti. Il nervosismo, il terrore di trovarsi di fronte a qualcosa di non completamente umano, ma che umano sembra, comincia ad avvolgerci e da lì è un attimo a ritrovarsi a incitare i diretti interessati a prendere provvedimenti necessari, quanto (estremamente) violenti.
Che poi è il gioco a cui “Vivarium” desiderava esporci sin dall'inizio; su cui fondamentalmente si erge: se consideriamo che nel suo sviluppo cerca il più possibile di non dare risposte e di evitare di sciogliere per filo e per segno i misteri di una trama che, semmai avesse avuto – o abbia – un nemico specifico, lascia che venga individuato a discrezione, in base alle esperienze soggettive di chi sperimenta l’esperienza.

Perciò, in attesa di elaborare con certezza se quella di Finnegan e Shanley voglia essere una critica sociale dedicata ai soli agenti immobiliari (possibile), oppure alle condizioni esistenziali cui sono costretti a sottostare tutti coloro che scelgono di trasferirsi in periferia (verosimile) – o magari la somma di entrambe – non ci rimane che fare tesoro delle loro esperienze e schivare, per sicurezza, sia l’una che l’altra cosa. Onde evitare di finire a mangiare cibi sottovuoto senza sapore, con figli di Satana seduti al nostro fianco.

Trailer:

Commenti

Posta un commento