Riassunto migliore del titolo non esisterebbe per inquadrare la nuova pellicola di Asghar Farhadi.
"Il Passato" infatti è protagonista e complice assoluto delle disperazioni di due famiglie entrate in contatto e incapaci di ripartire dalle loro disavventure proprio a causa dell'ingombranza di ciò che si sono lasciati alle spalle. Lei, Bérénice Bejo, alle prese con le carte da far firmare al marito, Ali Mosaffa, per un divorzio che aprirà le porte al suo terzo matrimonio con un uomo, Tahar Rahim, che sua figlia maggiore evita e non riesce neppure a guardare in faccia, perché, alle spalle, porta a sua volta il dolore di una moglie depressa che ha tentato il suicidio rimanendo in stato di coma vegetativo permanente, forse proprio a causa della scoperta del tradimento di lui.
Basta l'accenno alla trama per sottolineare quanto il passato descritto nella pellicola del regista iraniano sia uno di quelli dall'intonazione vera, che invade il presente e minaccia il futuro, che impedisce il passo sia a una ripresa che a una ripartenza, un passato da non potere ignorare e che fa sentire, stringendo allo stomaco, di non essersene ancora andato e di non avere alcuna intenzione di farlo. E' da leggere innanzitutto come un trattato umano quindi l'opera di Farhadi, lo è negli sbagli, nelle debolezze e nelle azioni di chi sente il bisogno di ritrovare quel sereno stato d'animo percepito e perduto nel (e dal) tempo, e che pur di riuscirci è disposto a non guardare più nemmeno in faccia la realtà, concedendosi all'errore, all'egoismo e all'incuranza verso il prossimo, spezzando, di fatto, delle vite a catena.
Vicinissimo ai toni del suo precedente "Una Separazione", Farhadi allora ci posiziona fissi in uno stallo disperato che si allarga a macchia d'olio a ogni tentativo di disamina e riparazione, uno stallo che va a nutrirsi dei sensi di colpa dei protagonisti e delle ingiustizie che quest'ultimi lasciano cadere, irresponsabili, sulla testa dei loro figli (grandi e piccoli), i quali, passivamente, risentono del flusso alterando il comportamento e rovinandosi a loro volta. La totale imprudenza accatastata alla base, consuma lenta perciò lo scorrere del quotidiano, accrescendo continue fughe e mancati confronti che ognuno preferisce tenere dentro, intossicandosi e implodendo tra sospeso e non detto, alla ricerca di una via d'uscita semplice che è inesistente e di una di emergenza assai complicata da oltrepassare se murata dalla paura.
E' con tocco sincero e duro, dunque, che "Il Passato" strazia e maneggia spine con cui è possibile solo graffiarsi e farsi del male, impedisce ai suoi personaggi qualsiasi tipo di cesura, ritrovandosi incessantemente ad accumulare nuovi calcoli che portano loro a ritardare un illusorio punto e a capo. Questo almeno finché, con brivido intenso, non imparano ad accettare l'ineluttabile e vivere il presente senza il bisogno di tagliar via nulla da ciò che è stato, senza progettare, soprattutto, quello che sarà.
Trailer:
"Il Passato" infatti è protagonista e complice assoluto delle disperazioni di due famiglie entrate in contatto e incapaci di ripartire dalle loro disavventure proprio a causa dell'ingombranza di ciò che si sono lasciati alle spalle. Lei, Bérénice Bejo, alle prese con le carte da far firmare al marito, Ali Mosaffa, per un divorzio che aprirà le porte al suo terzo matrimonio con un uomo, Tahar Rahim, che sua figlia maggiore evita e non riesce neppure a guardare in faccia, perché, alle spalle, porta a sua volta il dolore di una moglie depressa che ha tentato il suicidio rimanendo in stato di coma vegetativo permanente, forse proprio a causa della scoperta del tradimento di lui.
Basta l'accenno alla trama per sottolineare quanto il passato descritto nella pellicola del regista iraniano sia uno di quelli dall'intonazione vera, che invade il presente e minaccia il futuro, che impedisce il passo sia a una ripresa che a una ripartenza, un passato da non potere ignorare e che fa sentire, stringendo allo stomaco, di non essersene ancora andato e di non avere alcuna intenzione di farlo. E' da leggere innanzitutto come un trattato umano quindi l'opera di Farhadi, lo è negli sbagli, nelle debolezze e nelle azioni di chi sente il bisogno di ritrovare quel sereno stato d'animo percepito e perduto nel (e dal) tempo, e che pur di riuscirci è disposto a non guardare più nemmeno in faccia la realtà, concedendosi all'errore, all'egoismo e all'incuranza verso il prossimo, spezzando, di fatto, delle vite a catena.
Vicinissimo ai toni del suo precedente "Una Separazione", Farhadi allora ci posiziona fissi in uno stallo disperato che si allarga a macchia d'olio a ogni tentativo di disamina e riparazione, uno stallo che va a nutrirsi dei sensi di colpa dei protagonisti e delle ingiustizie che quest'ultimi lasciano cadere, irresponsabili, sulla testa dei loro figli (grandi e piccoli), i quali, passivamente, risentono del flusso alterando il comportamento e rovinandosi a loro volta. La totale imprudenza accatastata alla base, consuma lenta perciò lo scorrere del quotidiano, accrescendo continue fughe e mancati confronti che ognuno preferisce tenere dentro, intossicandosi e implodendo tra sospeso e non detto, alla ricerca di una via d'uscita semplice che è inesistente e di una di emergenza assai complicata da oltrepassare se murata dalla paura.
E' con tocco sincero e duro, dunque, che "Il Passato" strazia e maneggia spine con cui è possibile solo graffiarsi e farsi del male, impedisce ai suoi personaggi qualsiasi tipo di cesura, ritrovandosi incessantemente ad accumulare nuovi calcoli che portano loro a ritardare un illusorio punto e a capo. Questo almeno finché, con brivido intenso, non imparano ad accettare l'ineluttabile e vivere il presente senza il bisogno di tagliar via nulla da ciò che è stato, senza progettare, soprattutto, quello che sarà.
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