Nymph()maniac: Volume II - La Recensione

Aveva dato il sospetto di poter essere un'opera Dantesca, "Nymphomaniac", preso nella sua prima frazione, quindi spezzato. In realtà, con il secondo volume, scopriamo che l'opera di von Trier mira ad essere qualcos'altro, un trattato, anzi, una confessione, un passo importante per il regista che a suo modo - provocatorio e contrastante- tenta un cenno di riconciliazione con quel tabù femminile che tanto teme.

La parabola di Joe inevitabilmente vira verso la conclusione, e considerando l'epilogo con cui apriva il volume uno, siamo già al corrente che questa non sarà incorniciata da rose e fiori. E infatti quella di "Nymphomaniac: Vol. II" è una faticosa salita intrapresa verso una cima ignota, una cima composta a strati, ognuno di loro più ripido e scottante del precedente. Si, perché le mosse e le decisioni di Joe si scoprono non essere mai dettate né dalla casualità, né dalla lussuria (come si lascia sfuggire lei stessa, mentendo, in un occasione) ma introdotte invece da domande, delusioni, vuoti e sensi di colpa ricevuti nel corso della sua esistenza, e manifestati inizialmente nel corso della sua adolescenza. La scalata allora prende una piega completamente diversa, che potremmo definire addirittura logica, avanza di tappe in tappe, alzando ogni volta il grado di vergogna, cinismo e dolore e tagliando al capolinea con un epilogo in chiaroscuro in cui non si possono contare né vincitori né vinti.

Eppure al di la della sua anima rock, del sadomaso e delle irritanti irresponsabilità materne ed egoiste inserite per gettare ancor più fango attorno alla figura della protagonista, dietro "Nymphomaniac: Vol. II", coperta accuratamente, è celata la posizione ufficiale di Lars von Trier verso la donna. Una deposizione chiara, infelice e sincera, forse troppo, e forse nemmeno condivisibile da molti. von Trier, in realtà, prova pietà per la sua Joe, la perdona e poi la condanna allo stesso modo di come l'ha condannata la sua vita nel rapporto con gli uomini e con una società che l'ha sempre vista con occhi diffidenti. La luce viene accesa allora nel catartico monologo finale - aperto dall'immagine di un tramonto - quello in cui Seligman tira le somme intercettando quella morale promessa in precedenza e consolidando la sua riflessione tramite un rovescio della medaglia, un rovescio nel quale onestamente è chiamato ad ammettere un indiretto senso di colpa maschile che riabilita Joe annientandola insieme.

E così, abbracciando il controverso e accarezzando i limiti del cattivo gusto Lars von Trier conclude il suo personale viaggio di celebrazione al mondo femminile nella maniera più inaspettata e oscura possibile, costringendo due vertici lontanissimi ad entrare in contatto scatenando un Big Bang, stuzzicando e abbandonando la logica introduttiva per entrare d'istinto nell'animalesco.
In questo modo si punisce anche lui, come la sua Joe, e nel farlo punisce anche tutti gli Uomini, teorizzando e dimostrando quanto si può essere vittime, ma soprattutto carnefici.

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