Buoni A Nulla - La Recensione

L'atteggiamento cortese, l'umorismo piacevole e il riguardo minuzioso verso una terza età che il nostro cinema solitamente tende a mettere in disparte, sono state le qualità basilari che hanno concesso a Gianni Di Gregorio di ritagliarsi un piccolo spazio nel panorama cinematografico nostrano. La sua commedia ha cominciato a funzionare da subito egregiamente, nell'esatto momento in cui rifiutava di voler competere nei tempi e nelle direzioni con l'altra mainstream, dedicata ad una forbice di pubblico assai più ampia e varia.

Con "Buoni A Nulla" però pare essersi verificato un corto circuito particolare, un cambio di orientamento con cui Di Gregorio annuncia di volersi allargare, modificando parte del suo equilibrio e manipolando vicende diversissime da quelle a cui è abituato. Lo scopo, pensiamo, è aumentare la cerchia dei propri adepti, affidandosi ad un cast più ricco e più noto dei precedenti, con cui divide onestamente gioie e dolori. Tuttavia la sensazione è che si tratti una scelta mentale (sua? di chi lo produce?) non condivisa dal corpo, visibilmente a disagio a dover fare i conti e a convivere dal primo all'ultimo istante con un qualcosa che non lo rappresenta, a cui si aggiunge anche l'aggravante di un canovaccio che avrebbe potuto portare con sé del materiale niente male, ma che viene invece affrontato in modo leggero e senza l'ombra di alcuna utile meta, se non quella di rubare flebili risate e far vivere tutti felici e contenti.

Di Di Gregorio restano perciò bontà e scheletro, mentre salutano spontaneità e freschezza. Quella di "Buoni A Nulla" infatti è una sceneggiatura nata bene e sviluppata male, dove la lente seria a disposizione - rivolta alle conseguenze della recente riforma sulle pensioni, che ha costretto molti lavoratori a rimanere vincolati al loro posto di lavoro - finisce chissà dove non venendo più ripescata, e dove quella più brillante - dedicata a farsi rispettare reagendo ad ogni torto subito - anziché venire sfruttata con cattiveria e veleno, si riduce a qualche piccola gag e siparietto a cui viene spontaneo chiedere il perché di un freno a mano fisso, tenuto in maniera così gratuita. Forte è dunque il dubbio che si sia perduta una buona occasione, sviluppando un soggetto di valore secondo una mentalità ricercata e impropria, distante dalle peculiarità del suo autore. La fiacchezza e l'approssimazione di alcune situazioni e la poca credibilità di alcune battute (buttate via come se niente fosse), finiscono quasi per rafforzare la teoria di un'ambiguità di fondo frutto di una lotta tra ciò che si voleva fare e ciò che si è fatto.

Preferiamo pensare comunque ad un errore di valutazione, a delle premesse sbagliate o a qualche ambizione che si è provato a far rientrare in corso d'opera, quando ormai era tardi e il percorso era già stato stabilito. Perché altrimenti dovremmo insinuare che il cinema di Di Gregorio, che proprio attraverso chi stava invecchiando manifestava giovinezza, sia giunto al pensionamento precoce, privo di un avvertimento o di un segnale d'allarme. E sarebbe una notizia che sinceramente ci darebbe enorme dispiacere.

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