Trash - La Recensione

Accettare i comportamenti e le intenzioni messe in scena dai ragazzini protagonisti di "Trash" è un passo decisivo per entrare in contatto con il cuore e con i valori di una pellicola, se vogliamo, anacronistica ma sincera.
E a proposito di valori, non c'è da stupirsi se una sceneggiatura tanto tenera e innocente come questa porti con sé la firma di un Dio della scrittura, dell'amore e dell'affetto come Richard Curtis, l'unico forse in grado di ottenere il massimo da una storia così rischiosa e tendenzialmente furba.

Ma invece, e per fortuna, di furbo "Trash" ha ben poco, e quel poco che ha è bravo a giocarselo meglio che può, non risultando mai ricattatorio, ma sempre di animo puro come i tre ragazzini di cui narra le gesta. Fa uno strano effetto, considerando il mondo in cui viviamo, che tre adolescenti, abitanti delle favelas, possano rifiutare una ricca ricompensa in denaro pur di andare a fondo a una faccenda che non li riguarda e inseguire, a scapito della loro vita, il raggiungimento della giustizia. E invece nella pellicola diretta da Stephen Daldry, accade proprio questo: la corruzione, la politica e tutto il marcio del mondo devono vedersela con chi ha ancora intatte sia integrità che purezza e non ha la minima intenzione di mettersi in vendita, ma semmai di combattere affinché un mondo epurato dal male sia un giorno possibile e vivibile. L'adattamento del romanzo di Andy Mulligan sfugge quindi dalle mani di chi ne avrebbe potuto fare una sorta di "The Millionaire" ancora più commerciale, per diventare un'opera non straordinaria, ma dai battiti pulsanti e regolari, intenzionata a illuminarsi e illuminare di positività, riaccendendo nello spettatore la speranza che un mondo diverso da quello che ormai ha imparato a conoscere è fattibile se si continua a crederlo.

Da uno sguardo distante infatti, potremmo dire che "Trash" è una favola per bambini che ancora non sanno come funziona il mondo, un tentativo sterile e poco incisivo per ricalcare l'importanza di dare sempre priorità all'onestà e mai al suo esatto opposto. Eppure Daldry con la sua regia è capace di conquistare qualcosa di molto più esteso, di prezioso, di impossibile forse, ovvero il risveglio lento di quel senso di ribellione e di probabilità, che nei corpi di coloro che invece grandi lo sono già, ormai risulta assopito e imbottito di delusioni e scarsa fiducia. Il sostegno in fase di scrittura del buon Curtis allora gli viene incontro rafforzando la capacità di esposizione ed evitandogli cadute di retorica: insieme i due mettono in piedi un racconto trascinante, solido e onesto, che regge e conquista proprio per la maestosa virtù che si cuce addosso di combattere per ciò che è giusto, a qualunque costo e contro qualsiasi nemico a prescindere dalle condizioni e dai pronostici di vittoria.

Solo questo d'altronde è il modo per continuare a sentirci salvi, solo accettando che i protagonisti di "Trash" siano reali e non artificiali possiamo recuperare la positività perduta. E a furia di seguire le loro gesta, a furia di ascoltare le loro motivazioni, anche la pancia e il cuore vengono stimolati e riscaldati da un fuoco che credevamo fosse andato perduto. Perché con tutta la sua fantasia avvincente, con tutta la sua innocenza e genuinità, la pellicola di Daldry assume le forme di un inno all'uguaglianza e alla benevolenza, che seppur non è in grado di vivere oltre le mura della sala, almeno li dentro porta con sé il suono soave del motivo perfetto.
Quello che dovrebbe suonare in eterno, ovunque, accontentando l'universo e radiando cattiveria e tristezza.

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