Ho Ucciso Napoleone - La Recensione

A suo modo Giorgia Farina è una delle risposte migliori che il cinema italiano, peraltro giovane, ha saputo dare negli ultimi anni. Le sue commedie grottesche, con al centro sempre una o più donne, fanno parte di un emisfero tendenzialmente poco visitato, intrigante, in cui poter approfondire il mondo femminile e la sua inquadratura verso l'esatto opposto, ovvero quel maschio sempre al centro della scena, inaffidabile e, il più delle volte, pessimo.

Al centro della scena di "Ho Ucciso Napoleone" però c'è solamente Anita: una donna rigida, severa, dedita esclusivamente al lavoro, ma con la macchia di aver instaurato una relazione con il proprio capo, sposato, da cui ora è rimasta persino incinta; motivo per il quale (lei crede) improvvisamente, il giorno dopo la promozione a dirigente, viene licenziata e allontanata dal posto di lavoro. Da qui ha inizio la sua vendetta, la riscossa con la quale deciderà di utilizzare tutte le sue attitudini e tutte le sue conoscenze per spostare, eliminare e muovere pedine fino alla riconquista di ciò che per lei più conta e considera legittimo.
Parte perciò a cento all'ora Giorgia Farina, con un montaggio nevrotico e un personaggio esteriormente dark ed ostile (ma internamente fragile e dolce) a cui in pochissimi minuti vengono tolte certezze e ambizioni in cambio di preoccupazioni e sconforto. Ci vuole un po' prima che la sua pellicola si stabilizzi e trovi l'equilibrio esatto per non mettere a disagio, e la cosa accade precisamente nell'istante in cui il personaggio principale di Micaela Ramazzotti e il placido avvocato di Libero Di Rienzo stringono alleanza, cominciando a collaborare insieme per un fine comune. La relazione tra i due è la classica riscontrabile quando un maschio nerd, pur di sognare, si lascia sottomettere dalla modella antipatica alla ricerca di aiuto, eppure i loro siparietti - anche da finta coppia di fronte alla famiglia di lei - funzionano benissimo e sono di grande aiuto sia per il respiro che per l'aspetto trainante della trama.

Il meglio di sé tuttavia "Ho Ucciso Napoleone" lo concede attraverso le brevissime frasi pronunciate dai suoi personaggi femminili di contorno: la spacciatrice di farmaci Elena Sofia Ricci e l'avvocatessa ansiosa Thony. A loro è affidato l'umorismo rosa più affilato, quello che raramente ci viene concesso non solo nel nostro paese, ma persino altrove. Peccato però che siano solo momenti brevi o sfuggenti e non parte attiva di una trama che, per quanto architettata a puntino, nel suo spaccato finale, quando compie la mutazione da commedia a thriller, non sa più essere decisa come era riuscita a fare - con alti e bassi - nella sua prima ora. Il percorso riservato ai personaggi post-colpo-di-scena appare infatti scagliato con una fretta disorientante, quasi a voler trovare rapida chiusura per non doversi perdere in spiegazioni minori, ma per certi versi ormai necessarie. Un omissione di passaggi che nonostante non pregiudichi un quadro conclusivo piuttosto chiaro, macchia la scrittura di una sceneggiatura - a cura della stessa regista assieme a Federica Potremoli - che per buoni tre quarti si era dimostrata ferma e, perché no, ambiziosa.

Probabilmente a forza di trattarlo il doppio, in questo film, Giorgia Farina ne è rimasta un po' vittima. La sua è una crescita che si nota poco andando a guardare "Amiche Da Morire": un film in cui il plot era praticamente di ferro, ma dove l'umorismo riusciva a colpire con più fatica di quanto invece riesce a fare in "Ho Ucciso Napoleone". Un segnale che allontana segni di evoluzione come quelli di involuzione e che volendo può essere letto come una conferma.
E di questi tempi...

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