Black Mass: L'Ultimo Gangster - La Recensione

Per molti Johnny Depp versione gangster è l'ultimo ricordo di un attore che, scelta sbagliata dopo scelta sbagliata, negli ultimi anni, ha iniziato poi ad impigrirsi e a smettere di recitare: concentrandosi solamente su smorfie e poco altro. In quell'occasione - che lo vedeva nei panni di John Dillinger - c'era il maestro Michael Mann ad impartire ordini e a contenere un talento folle quanto discontinuo, ricavandone una delle interpretazioni più equilibrate e notevoli che la filmografia dell'attore, ancora oggi, possa celebrare. Che nel momento più buio della sua carriera, quindi, Johnny decidesse di ritornare in carreggiata passando nuovamente per quello stesso punto, era inevitabile, ugualmente come lo era la scelta di un personaggio tosto e duro, che gli impedisse il più possibile di caratterizzare i suoi tratti in modo eccentrico, perdendo facilmente controllo e misura.

Si affida, dunque, a Scott Cooper per quella che potremmo definire come una "urgente riabilitazione", regista che nulla ha a che vedere con Mann, ma che sa perfettamente come trarre il massimo risultato dai suoi attori, specie se protagonisti. Entra così nei panni del gangster irlandese James "Whitey" Bulger, Depp, colui che negli anni '70, accettando di collaborare con l'FBI riuscì a manipolarla a tal punto da gestirla attraverso alcuni uomini che, per non finire processati a causa delle scorrettezze commesse, puntualmente erano disposti a coprire i suoi crimini agevolandogli l'ascesa. Le basi minime per un gangster-movie dal sapore ordinario e piuttosto regolamentare, che rigetta in mischia concetti triti e ritriti su legami di sangue, di strada, lotte di potere e annessi squilibri mentali misti a paranoie. Nulla di elettrizzante, insomma, e forse tutto preparato per non andare a distogliere troppo l'attenzione dal centro nevralgico della scena, quella in cui finalmente un attore sperduto sembra recuperare, scena dopo scena, la parvenza di quel mestiere che una volta ostentava praticare.
Il lavoro sul fisico, e soprattutto sull'estetica, infatti è l'aiuto più grosso che "Black Mass: L'Ultimo Gangster" offre a Johnny Depp, insieme alle scene in cui viene mostrata la sua attitudine di padre da un lato e di criminale assassino dall'altro. Una terapia d'urto da praticare con forte urgenza e attenzione, dove ogni scelta registica, ogni inquadratura o battuta, appare scritta per andare a punteggio del suo front-man d'eccezione, che è gangster dentro così come fuori dalla finzione.

Ma in un contesto di beneficenza tale, attuato con finta discrezione, attraverso il quale comunque si cerca di fare del bene, avrebbe potuto giovare maggiormente un minimo di premura in più verso la pellicola: deficitaria di un segno distintivo, un momento catartico, o più semplicemente di un approccio filmico capace di elevare il prodotto dalla mediocrità grigia del suo abusato genere e di dotarlo, magari, di quella forza muscolare, non necessariamente esplosiva da spostare gerarchie, ma abbastanza rumorosa da attirare attenzione. Nonostante sia presente tutto ciò che è indispensabile ad un gangster-movie per definirsi tale, in "Black Mass: L'Ultimo Dei Gangster" a mancare, quindi, sembra essere più di ogni altra cosa lo spirito di logica, quello attraverso il quale inserire elementi o tasselli, non per il solo gusto di poterlo fare, ma perché realmente utili alla trama, che così anziché assopirsi e fare attrito, come in questo caso, ha la possibilità di smuoversi e trascinare.
Cooper, dal canto suo, non sembra mai voler tentare nemmeno un incursione per istituire quel minimo di rigore e di sprint mancante, al contrario, sembra invece voler mantenere più discretamente possibile un profilo basso e una direzione formalissima del suo operato. Affermandosi regista meno promettente di quanto il suo esordio avesse suggerito.

Ad uscire vincitore - non assoluto, ma contento - resta allora solo Johnny Depp: redento e riammesso nell'ordine, come da copione sarebbe dovuto essere sin dall'inizio. Del resto "Black Mass: L'Ultimo Dei Gangster" serviva più a lui che a noi, già preoccupati - se vogliamo - dal prossimo "Pirati Dei Caraibi" e dalla sensazione che "fuori pericolo" certi pazienti non lo saranno mai.
Stesso discorso, guarda caso, valido per i gangster.

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