Lo Chiamavano Jeeg Robot - La Recensione

Io n'so' amico de nessuno! 
Una risposta che un essere umano non dovrebbe mai neppure pensare, ma che Enzo Ceccotti ripete come fosse una filosofia da inseguire e da non intaccare. A intaccare lui però ci pensa il suo stile di vita, quella criminalità con cui racimola denaro e che un giorno, per fuggire dalle guardie che lo inseguono per le strade di Roma, lo costringe ad immergersi nel Tevere, dove entra in contatto con un barile aperto, contenente materiale pericoloso, che nel suo corpo provoca una mutazione, concedendogli una forza fuori dal normale.

Da un grande potere derivano grandi responsabilità, lo diceva anche lo "Spider-Man" di Sam Raimi e in qualche modo cerca di farglielo capire a Claudio Santamaria anche Alessia, la ragazza "scocciata di testa", in fissa con i cartoni di Jeeg Robot D'Acciaio, di cui con fatica deve prendersi cura dopo un lavoro finito male con padre di lei: rimasto ucciso nella sparatoria in cui lui, colpito alla spalla, è caduto dal nono piano di un palazzo, iniziando a prendere coscienza del suo nuovo, sviluppato potere. Perché l'opera prima di Gabriele Mainetti, che ci si creda oppure no, è una pellicola che ha l'ambizione di seguire le orme dei migliori lavori americani dedicati ai super-eroi, quelli in continua espansione, quelli che stanno invadendo l'industria cinematografica mondiale, spesso logorandola. "Lo Chiamavano Jeeg Robot" però di logorare non ha alcuna intenzione, anzi, e con la sua ventata di aria fresca fa a pezzi in due secondi la minaccia cattiva di quel cinema italiano riciclato e scontato, tenendo testa, e assestando persino qualche colpo devastante e folgorante, a quella fonte più ricca e gigantesca a cui chiaramente fa riferimento e prende spunto.

Senza costringere Roma e la sua civiltà a mutare in carattere fumettistico, Mainetti fa in modo che siano i suoi personaggi e le piccole sfumature ad adattarsi alla realtà dell'ambiente e a portare al suo interno quel grado di assurdo e di speciale con cui andare a nutrire la sua immaginazione e il suo lavoro. Presenta perciò una capitale vittima di attentati, fedele alla sua conformazione, ma cupa e in tensione per quelle paranoie che hanno sfondato la porta e che minacciano adesso di peggiorare rinforzando il tiro. Eventi che il Joker leggermente più sobrio e a tinte pop di Luca Marinelli, vede come astuzie programmate da alcune bande nazionali per assumere il potere, lo stesso che lui è convinto di potersi guadagnare con un colpo grosso che, magari, potrebbe essere far esplodere lo Stadio Olimpico durante il derby Roma-Lazio (li si, dice, che tutti quanti ti darebbero ascolto).

In questo caos che farebbe pensare a dei risvolti da "Il Cavaliere Oscuro" l'Enzo Ceccotti di Santamaria, non medita minimamente di intervenire, scassinando bancomat e furgoni portavalori e urlando contro la povera Alessia (di cui si innamora) che non vuole saperne di dare spago a quella sua ossessione di assumere i panni di Hiroshi Shiba, l'eroe di quei dvd che la donna porta costantemente al suo fianco. Di lui, tuttavia, questa città ha bisogno - come pure il paese - e se non ci riesce con le buone la Roma Criminale di "Lo Chiamavano Jeeg Robot" a prendersi ciò di cui necessita, non ha problemi ad usare le cattive: accaparrandosi il suo eletto con la forza, rovesciando i suoi principi e alterandolo in l'amico de tutti, quel simbolo che per una città sempre più simile a Gotham City è indispensabile oggi come non mai.

Cuce così uno scontro tra (anti)eroe e villain alla stregua dei migliori cine-comics sulla piazza, Mainetti, con dei picchi altissimi in cui la sua pellicola si illumina per ironia, brillantezza e grandissima voglia di stupire e convincere. In questo modo dimostra non solo di essere (giovane) autore con qualcosa da dire e con del talento da tenere d'occhio, ma soprattutto, a tutti i più scettici, che per fare un cinema di qualità, in Italia, non serve affatto né un grosso budget e né altro. Basta solo un pizzico di volontà e di sostegno.

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