Hunger Games: Il Canto della Rivolta (Parte 2) - La Recensione


Mentre la guerra tra ribelli e lealisti non si da pace, Katniss Everdeen decide di chiudere definitivamente la questione puntando dritta alla vita del Presidente Snow. La strada da fare tuttavia è lunga e colma di trappole e di nemici, coi distretti in rivolta tra loro e l'unione e la pace che appaiono, nel caos generale, delle chimere impossibili da conquistare.
Tranne, ovviamente, per colei che ha già dimostrato, in passato, di saper ribaltare ogni certezza.

La saga di "Hunger Games" giunge così al suo ultimo capitolo, alla metà conclusiva, quella che segna la chiusura della circonferenza di un cerchio largo circa quattro anni. Alla regia, il fedele Francis Lawrence, riprende le redini esattamente da dove le aveva lasciate nel film precedente, ripartendo, meticoloso, dalla scena successiva a quel raptus di Peeta su Katniss, ma scatenando, di li a poco, quello sfogo tanto atteso e prevedibile che in molti stavano aspettando. I personaggi perciò cominciano a muoversi, a scendere in battaglia, a spargere ribellione in uno scenario che troppo aveva sofferto quelle parole e quei luoghi chiusi che proprio non poteva permettersi di utilizzare e di abusare. Ciò non basta, comunque, ad "Hunger Games: Il Canto Della Rivolta (Parte 2)" per mettere il turbo e far dimenticare la piattezza del suo predecessore, penalizzato da una sceneggiatura fin troppo scadente e da sequenze spettacolari che pochissimo riescono a stimolare lo spettatore, e ancora peggio riescono a fare quando il tentativo diventa quello di entusiasmarlo. Ci provano i protagonisti, allo stesso modo di come ci prova il regista stesso, fanno tutti in modo e maniera di elevare al massimo lo svolgimento e i capovolgimenti di fronte di una trama che da dire, onestamente, sembra avere briciole se non nulla, a parte un triangolo amoroso da sciogliere che importa a quasi nessuno (e che viene risolto grossolanamente) e una battaglia da vincere a cui non si è in grado di restituire la giusta epicità.

Con le restrizioni ridotte al minimo e posto di fronte al massimo delle sue potenzialità, "Hunger Games: Il Canto Della Rivolta (Parte 2)" allora, anziché emergere e mettere muscoli, procede nel suo lavoro noioso di provare ad essere qualcosa che probabilmente non è mai stato e mai potrà permettersi di essere. Fallisce sempre, continuamente, da quando tenta di mostrare il petto nelle sequenze action a quando sceglie la via cupa del thriller metropolitano senza sapere bene come destreggiarsi e come agire. Accende miracolosamente un faro, quando, nella follia generale, si lascia andare ad una imitazione sgangherata di "Alien", incontrando l'horror, ma uscendo fin troppo fuori dai suoi binari e dal contesto specifico. Un momento assurdo quanto inaspettato che, senza esagerare, segna il punto più alto di una pellicola a cui poi si procede a stare dietro unicamente per abitudine e non per interesse; dove ogni epilogo appare scontato, apatico, e persino il finale, colpi di scena compresi, veste l'abito di una stanchezza che finalmente ha terminato il suo viaggio e può cominciare il suo eterno riposo.

Ha sempre ostentato fascia di pubblico "Hunger Games", è stato questo molto probabilmente il suo grande difetto. Non ha mai capito se rivolgersi esclusivamente agli adolescenti, ai fan del libro, oppure allargare gli orizzonti anche a quel pubblico più maturo azzardando il colpaccio. Ha provato ad evolversi in corsa, a rintracciare ogni volta l'esatto mood per migliorarsi, allargare le braccia, cambiando troppo spesso forma e intenzioni e concludendo la sua performance in confusione assoluta e totale.
Una via crucis alla quale, fortunatamente, ora si può dire dolcemente addio. Tutti uniti, magari per la prima volta.

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