Il Club - La Recensione

Se "Il Caso Spotlight" si occupava di portare alla luce il lato oscuro della Chiesa tramite il giornalismo d'inchiesta e, dunque, da un punto di vista esterno, "Il Club" di Pablo Larraín va ancora più a fondo, portandoci in una casa, semi-isolata dal mondo, situata in una piccola città del Sudamerica, dove quattro preti e una sorella sono stati mandati in esilio dal loro Ordine per espiare quei peccati, tendenzialmente legati a violenze sui minorenni. Un luogo di redenzione in cui però la redenzione è relativa, non osservata da vicino, e quindi alleggeribile in vari modi, questo almeno fino a quando l'arrivo di un quinto prete, e di un suo scheletro sfuggito all'armadio, non rompe l'apparente serenità, rischiando di far venire alla luce quella polvere posta per misericordia sotto il tappeto.

Ci va giù duro Larraín, non si smentisce: prende l'istituzione ecclesiastica, la spoglia di qualsiasi orpello e, infine, la analizza ad armi pari, secondo la logica religiosa, umana, ma soprattutto politica. Lo fa attraverso la severità, i principi e la voglia di pulire definitivamente lo sporco incrostato applicata dal giovane psicologo gesuita, inviato per risolvere la tragedia appena creatasi e limitare ulteriore fango generato senza preavviso. Un fango che proprio il cambiamento recente, effettuato ai piani alti, ha intenzione di evitare, o perlomeno di contenere: smettendo di proteggere, se necessario, il comportamento dei peccatori della casa per ribadire il messaggio secondo il quale il rinnovo compiuto sia molto più vicino alla parola di Dio rispetto a quanto in passato sia stato possibile. Ma quel polso così duro e spietato, approdato con le intenzioni migliori di giustizia e di bonifica, deve fare i conti con dei peccatori per nulla disposti a riparare ai loro sbagli oltre quello che già hanno accettato di meritare, decisi, quindi, ad appellarsi in qualsiasi modo alla debolezza dell'uomo e alle conseguenze della stessa, che neanche a farlo apposta, intanto, tornano a bussare alla porta e a presentarsi come un'agghiacciante scandalo.

Senza puntare il dito, ma restando sempre neutrale, al centro della vicenda, "Il Club" comincia perciò a produrre tensione emotiva e quesiti deontologici spinosi, ad essere provocatorio, spiazzando lo spettatore con confessioni terribili e dialoghi spaventosi. Il celato che c'era nella pellicola di Thomas McCarthy diventa sempre più visibile e nitido agli occhi e alle orecchie, e lo stesso vale per un comportamento di salvaguardia che, nonostante le intenzioni iniziali, sembra non possa fare altro che rientrare in gioco rinunciando a quell'innovazione promessa. Chi era venuto per rimettere le cose apposto, allora, finisce per sporcarsi le mani più di chi era già immerso nel sudicio fino alle braccia, rinunciando all'integrità personale per non intaccare irreversibilmente il simbolo: con la speranza racchiusa in quella fede che a quanto pare fornirà comunque una via di redenzione verso un perdono che, reale o meno, probabilmente, non sarà mai sufficiente per riparare i danni profondi e mastodontici causati dalla colpa.

Una pellicola, insomma, a dir poco potente e pazzesca quella di Larraín, che con una regia essenziale, a volte sporca, e una grandezza di scrittura determinante, cattura dal primo istante colpendo dritto e tosto allo stomaco. Un esempio di cinema meraviglioso che sarebbe un peccato lasciar passare inosservato, e che piuttosto dovrebbe essere obbligatorio nel panorama attuale, eccessivamente aggrappato alla frivolezza.

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