L'Ultima Parola: La Vera Storia di Dalton Trumbo - La Recensione

I rapporti tra America e Russia, finita la Seconda Guerra Mondiale, non cavalcarono a lungo l'onda dell'armonia: esplodendo presto in una Guerra Fredda che innervosì i rapporti e le decisioni politiche dei due paesi. In America in quegli anni, nacque infatti una corrente politica denominata maccartismo, dove ogni cittadino americano sospettato o accusato di comunismo doveva assolutamente essere allontanato e identificato come minaccia. Anche Hollywood non sfuggì a tale controllo e attraverso la collaborazione del Comitato per le Attività Antiamericane, intorno alla fine degli anni '40, subì numerose inchieste che videro attori, sceneggiatori, registi, produttori e altre figure dello spettacolo essere chiamati davanti alla corte di un tribunale per testimoniare sulla loro tendenza politica, rischiando il carcere nel caso in cui si fossero rifiutati di apparire o di rispondere alle domande. Il brillante sceneggiatore Dalton Trumbo, comunista convinto, ma soprattutto contrario a quella che gli sembrava a tutti gli effetti una violazione dei diritti civili, insieme ad altri nove dei suoi colleghi, si rifiutò però di sottomettersi a tale prepotenza, finendo in una lista nera che gli fece prima perdere definitivamente il lavoro e poi guadagnarsi una cella come punizione. Spiegone necessario, questo, giusto per chiarire che, per cominciare a parlare di "L'Ultima Parola: La Vera Storia di Dalton Trumbo", è fondamentale inquadrare alla perfezione il periodo storico, un periodo che sicuramente in America non è più guardato oggi con la stessa fierezza e rigidità di allora, ma che in qualche modo ha segnato una pagina da non sottovalutare per quel che riguarda la Storia e il carattere del paese.

Raccontare la scalata verso la giustizia di un uomo come Dalton Trumbo diventa quindi come andare a distruggere, ma allo stesso tempo rinforzare quei principi su cui l'America si vanta di fondarsi e con i quali è riuscita a cucirsi addosso, nel tempo, un abito piuttosto elegante, seducente e ambito. Nella pellicola diretta da Jay Roach, sembra quasi esserci infatti un'ammissione di colpa pubblica con tanto di scuse, insieme tuttavia a quel rilancio un po' arrogante di chi, comunque, fa un passo indietro per poterne fare due in avanti: fornendo le prove che per un cittadino americano che non smette di lottare e di credere nei suoi sogni ci sarà sempre un largo margine di vittoria in cui poter sperare, e questo a prescindere dalla testa di un paese che ogni tanto, schizzofrenicamente, tende un po' a contraddirsi. Sta di fatto che in quegli anni, la vita in quelle terre, fu tutt'altro che semplice per chi la pensava diversamente e non era disposto a scendere a compromessi, non tutti quanti come Trumbo potevano permettersi di lavorare sotto falso nome e provvedere a sé stessi e alla loro famiglia come se niente fosse. Ma di questo nella sceneggiatura di John McNamara non c'è traccia, dei reali effetti di quelle decisioni "L'Ultima Parola: La Vera Storia di Dalton Trumbo" prende in esame esclusivamente il lato più farsesco e creativo, con la spocchia però di non voler rinunciare neppure a quello più serio.

Vorrebbe dare un colpo al cerchio e uno alla botte il lavoro di Roach, alternando commedia e dramma con la stessa e identica intensità, senza sporcarsi le mani e rimanendo sempre neutrale. Opera quindi costantemente sul filo per non sbilanciarsi, il regista, affidandosi all'equilibrio magistrale di un Bryan Cranston contenuto e contemporaneamente perfetto, che fa del suo corpo e della sua mimica facciale il punto di forza essenziale. Eppure lo scalino che divide la parte più leggera della pellicola - quella contaminata dall'umorismo cinico e ficcante, proprio del protagonista - da quella più drammatica - che al contrario soffre di alcuni momenti deboli e di una buona dose di retorica - risulta sempre più netto e sbilanciato di quanto dovrebbe: al punto da provocare il dubbio che forse sarebbe stato meglio fornire meno importanza al periodo storico e alla politica, concedendo spazio totale all'irrazionale e irresistibile mercato delle sceneggiature anonime partorito da Trumbo per bucare il sistema.

Discorso che avrebbe decisamente reso meno carica l'opera di Roach, ma con il quale, probabilmente, si poteva andare ad agguantare un esito assai più soddisfacente e accurato. Che assolutamente non metteva fuorigioco la contestualizzazione e il suo peso, ma magari riusciva addirittura ad esaltarla maggiormente e in una forma più adeguata.
Mentre così dobbiamo accontentarci del classico buono, ma non ottimo.

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