La Corte - La Recensione

Tra la causa di omicidio che è chiamato a presiedere e la donna della giuria incontrata nuovamente, a distanza di anni, per cui il personaggio severo e introverso di Fabrice Luchini prova ancora dei fortissimi sentimenti, non c'è alcuna differenza di urgenza, visto e considerato che ogni cosa in "La Corte" è disposta con cura sul medesimo equivalente piano: da gestire quindi in tempo reale, parallelamente, senza né scorciatoie né pause.

Un po' come la vita verrebbe da dire, scombussolante e travolgente nostro malgrado, imprecisa, mai scontata per sua natura, da rendere indecifrabile persino l'andamento del processo che funge da metronomo alla pellicola di Christian Vincent: dove un giovane padre, accusato di aver ucciso a calci in pancia la figlioletta di sette mesi piangente, sembra nascondere insieme alla moglie qualche dettaglio in più relativo alla vicenda. Dettaglio, appunto, ovvero quella virgola che, inserita o meno, potrebbe far cambiare totalmente o parzialmente il senso di una determinata frase. E di dettagli, "La Corte", effettivamente ne è pieno, per non dire stracolmo, in quella che è senza dubbio una sceneggiatura che nelle sue sfumature e nei suoi piccoli graffi nasconde più risposte di quelle che poi, concretamente, ha intenzione di fornire al pubblico: magari più incuriosito dalla risoluzione di un omicidio oscuro, in costante alterazione e sul quale quindi - come a grandi linee suggerisce anche Luchini - bisognerebbe andarci cauti, piuttosto che punire per il solo scopo di individuare un colpevole a tutti i costi. Del resto in quelle virgole, che possono essere tradotte in gesti, espressioni, o semplicemente sguardi, è riposta la soluzione che stiamo cercando, le prove inconfutabili non tanto della verità quanto della certezza di qualcosa ancora da scoprire, da tirar fuori sia da noi stessi, dunque, che dagli altri.

Guardando sia al di dentro che al di fuori del tribunale filmato da Vincent, allora a fuoriuscire sono tutta una serie di incontri e scontri, prevalentemente culturali e sociali, che, per cause di forza maggiore, inducono una giuria variopinta a trovare un compromesso stabile di convivenza, prendendosi le misure a vicenda e fotografando, nel mentre, distanze, rapporti e mentalità, in un modo o nell'altro, coincidenti alla realtà multietnica che stiamo vivendo. Discrepanze che nella storia d'amore romantica tra il presidente Luchini e la giurata interpretata dall'attrice danese Sidse Babett Knudsen, si fanno ancor più nette grazie al contributo dei caratteri e dei mestieri che li contraddistinguono: il primo è un Presidente di Corte noto per porre fine alle esistenze di coloro giudicati colpevoli con minimo dieci anni di reclusione, mentre la seconda è un medico tendenzialmente noto per riportare alla vita, fisicamente e spiritualmente, i suoi pazienti. Questo perché secondo l'anima di "La Corte", in tribunale come in vita, la giustizia e la serenità interiore son raggiungibili esclusivamente tramite l'abbandono del bianco o del nero da cui scegliamo di farci dirigere, tramite quel passo, quindi, anche istintivo, con cui decidiamo di aprirci verso qualcosa che pensavamo essere troppo distante da noi o dalle nostre corde.

D'altronde è noto che l'equità abiti al centro, non agli estremi, per cui se lo scopo è quello di non cadere a terra, di sopravvivere e di fare la cosa giusta, l'unica soluzione è mettere da parte gli assoluti e cominciare a prendere in considerazione le gradazioni. Che sia in campo giuridico, sentimentale, o, nel più delicato, relativo al sociale. Considerando in anticipo la possibilità di allungare i sospesi per evitare l'errore di decisioni affrettate.

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