One More Time With Feeling - La Recensione

One More Time With Feeling Nick Cave
Circa un anno fa Arthur Cave, il figlio del noto cantate e artista Nick Cave, precipitò con la macchina sulle scogliere di Ovingdean Gap, in seguito, sembra, agli effetti allucinogeni di Lsd che aveva assunto con un suo amico qualche istante prima. In quel momento suo padre si trovava in studio a registrare quello che sarebbe stato il suo nuovo album, "Skeleton Tree", con tanto di operatori e videocamere intenti a riprendere la realizzazione di alcune performance documentali. L’incidente fatale del figlio, ovviamente, cambiò tutto: il processo creativo del disco venne interrotto e poi ripreso più avanti, mentre quelle riprese, ora, son diventate parte di un documentario sull'elaborazione del lutto della famiglia, con Nick presente in prima linea.

Non lo conosce neppure lui il motivo che lo ha spinto ad entrare in un progetto del genere, lo ammette personalmente in uno dei tanti momenti in cui viene intervistato in disparte. Attribuisce l’accidentalità della scelta proprio alle proporzioni di un evento che ti cambia completamente dall'interno: “Prima sapevo come reagivo a determinate cose, ora non lo so più. Non lo so perché ho detto sì a questa cosa!”, dice il cantante. È un tipo spirituale Cave, religioso, non crede nella casualità e al massimo è disposto ad accettarla come modo alternativo di intendere Dio, ma nelle sue parole si sente che quella solidità spirituale che lo ha caratterizzato da sempre, pur non cominciando a vacillare, ora inizia almeno a perdere di devozione. Metabolizzare la morte di un figlio è impossibile, d'altronde, la dimostrazione visiva che utilizza di fronte alla camera per spiegarlo al regista Andrew Dominik toglie qualsiasi dubbio, perché per quanto tu possa cercare di andare avanti e di non pensarci, alla fine, ci sarà sempre qualcosa, un pensiero o un’immagine, che ti trascinerà indietro, che ti trascinerà a quel fatto: e il principio è abbastanza simile a quello di quei metri che si allungano, ma che quando poi li lasci si arrotolano brutalmente, in un istante, con una rapidità che se non stai accorto potrebbe anche farti del male.

Nick Cave Andrew DominikGlie lo si legge inevitabilmente in faccia, il dolore, a Cave, nel sorriso (libero) che non concede mai e nelle occhiaie che davanti allo specchio lo spaventano e che un anno fa, ammette, non ricorda assolutamente di avere avuto. Le sue esternazioni sono sempre sincere, trattenute sicuramente, in quella bolla di sofferenza che “One More Time With Feeling” riesce benissimo a trasmettere e che ci avviluppa lentamente anche a noi spettatori, che siamo lì ad attendere di sentire chissà cosa che non si possa già immaginare a prescindere. Essere artisti non significa esser diversi e non significa nemmeno assorbire differentemente una tragedia o uno shock. La creatività, confessa Cave, non è aiutata da cose del genere, ha bisogno di spazio, di movimento, e rimanere gelati da un episodio traumatico di tale portata ti occupa tutta la superficie e ti arresta. A ciò, gli fa eco la moglie, che nelle poche dichiarazioni, ammette, di avere intensificato moltissimo i rapporti col suo lavoro, ma più per una questione terapeutica e scaccia pensieri che per altro.

Ha il sapore tetro e amaro, perciò, il documentario di Dominik, con le performance musicali registrate in studio che ogni tanto si alternano alle interviste e alla voice off di Cave (e non solo) che non fanno altro che aumentare quella commozione e quella partecipazione di oscurità che pervade tutto il flusso narrativo dall'inizio alla fine: complice il bianco e nero raffinato, scelto al posto del colore (che c’è solo in un paio di scene). Sentirlo aprirsi pubblicamente ed esternare i suoi dubbi e le sue certezze sulla vita, in fondo, è un qualcosa di liberatorio, qualcosa di cui, forse, lui inconsciamente aveva bisogno e che, a conti fatti, non lascia imperturbabili neanche noi.

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