Captain Fantastic - La Recensione

Captain Fantastic Matt Ross
La famiglia che "Captain Fantastic" racconta, seppur inventata, esiste davvero. Esiste come modello, esiste come realtà, per cui non possiamo guardarla e trattarla sotto un punto di vista assurdo o fantasioso. Chi sente il bisogno di chiamarsi fuori dalla società urbana, dai suoi vizi, dalle sue distorte culture, ritirandosi a vivere nella foresta, nella forma umana primitiva e più essenziale, in giro c'è ancora ed ha i suoi motivi (validi) per volerlo fare, sebbene è assodato che determinate scelte portino a dei rovesci della medaglia da mettere in conto e non alle spalle.

Ad anticipare Matt Ross sull'argomento era stato il canale National Geographic, con una serie-documentario a puntate che seguiva le peripezie di una famiglia numerosa e anticonvenzionale, impegnata a sopravvivere e a vedersela con la foresta e le sue intemperie: costruendo rifugi, recuperando legna e andando a caccia per provvedere al nutrimento necessario e sufficiente a mantenersi in forze. E nell'unica puntata che, casualmente, mi è capitata sotto il naso, mi ricordo dei figli maschi del capofamiglia (tutti già maggiorenni), finiti in città per comprare un qualche oggetto particolare, che nel tentativo di instaurare un contatto con delle ragazze attraenti, percepivano enorme disagio dovuto alla consapevolezza di non sapere come relazionarsi ad un mondo totalmente distante e discordante dal loro. Una scena che in un paio di frangenti è possibile rivivere anche in "Captain Fantastic", con l'unico figlio maggiorenne del film alle prese con l'altro sesso, senza sapere le basi dell'approccio e del corteggiamento.
Ma del discorso antropologico che il programma televisivo, documentando, obbligatoriamente doveva intraprendere, a Ross interessa giusto il necessario, la bozza utile a far intendere allo spettatore sprovvisto di tale informazione che tra vivere in città e vivere isolato dal mondo di roba ce ne passa, e ce ne passa così tanta che, a volte, si rischia di entrare in conflitto persino involontariamente. La famiglia composta da sei figli capitanata dal democratico e dittatore Viggo Mortensen, infatti, ha appena saputo dall'ospedale di esser rimasta orfana di madre, una morte che il padre della defunta attribuisce al marito, secondo lui responsabile di uno stile di vita che non ha favorito la salute di cui aveva bisogno la figlia, motivo per il quale, categoricamente, non lo vuole vedere al suo funerale. Un'intimidazione che all'inizio, per rispetto, dall'alto della democrazia che incarna e che insegna ai suoi figli, Mortensen accetta e incassa con onore, salvo poi tornare sui suoi passi e alimentare quella vocina dittatoriale che ogni tanto gli sfugge e che, in questo caso, gli ricorda che nelle ultime volontà della moglie non c'era un classico funerale, ma una cremazione.

Viggo Mortensen Captain FantasticSenza accorgercene allora "Captain Fantastic" diventa un viaggio spericolato e pazzesco dove civiltà (semi)antica e civiltà moderna entrano in contrasto dandosele di santa ragione e prendendosi a male parole, in uno spettacolo di intrattenimento che ricorda, alla lontana, per umorismo, conflitti e capovolgimenti quel "Little Miss Sunshine" che tanto avevamo amato e decantato. A rubare la scena, ovviamente, qui è l'educazione rigida e fuori dagli schemi di un Mortensen padre controverso e molto spigoloso: che insegna ai propri figli a studiare ciò che lui ritiene formativo, a sopravvivere scalando montagne o lottando corpo a corpo (e/o con armi), non filtrando mai il significato di nessun concetto, neppure quando a chiedergli dei rapporti sessuali è la bambina più piccola, ancora incapace di comprendere. Tratta tutti come pari, il suo personaggio, imposta regole che è disposto a cambiare se chi glie lo chiede sa esporre un concetto convincente, ma poi non ci sta ad ordinare hot-dogs e pancakes al ristorante, obbligando tutti a rubare provviste più salutari dentro un supermercato. Un comportamento che se nel suo microcosmo invisibile poteva restare impunito, nella vastità dell'urbanizzazione, a contatto con persone travolte dal capitalismo, consumismo e disinteressate a ribellarsi al sistema, creano la definitiva rottura tra lui e una famiglia la cui crisi era già evidente e stava solo aspettando di sfondare la porta. Deve fare i conti con sé stesso, perciò, questo padre rivoluzionario, prendere coscienza di una solitudine ormai definitiva e non girare più la testa alle richieste disperate di quei figli che ama, che si sentono amati, ma chiedono di moderare quanto basta un atteggiamento e una condizione esistenziale obiettivamente non più sostenibile e obsoleta.

E come al solito per curar le ferite, farsene delle altre e poi ricucire ogni strappo con l'aiuto di ago e filo, non c'è niente di meglio di quel viaggio on the road folle e fuori programma. Quello che permette di farti cadere addosso casualità, incontri e tutto quello che la vita ha deciso di riservarti, surclassandoti e dandoti quella botta che, magari, in un primo momento ti lascia atterra, ma che poi, al risveglio, sa indicarti la giusta via e la giusta mediazione per ripristinare armonia senza distruggere quanto di buono creato in origine.
E la mano di Ross, fortunatamente, nel fare ciò sa esser ferma, sicura, ancora giovane, ma per niente, per niente inesperta.

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