Florence - La Recensione

Florence Meryl Streep
La storia di Florence Foster Jenkins è una di quelle che se le racconti ti credono in pochi, che se fosse stata partorita da uno sceneggiatore sarebbe stata scartata a priori: perché l’assurdo va anche bene, ma bisogna darsi una regolata. Eppure è tutto vero, sebbene sembri incredibile accadde sul serio che, nel 1944, durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, un’ereditiera, per niente dotata nel canto, tantomeno nell'opera, richiamò l’attenzione di stampa e di pubblico esibendosi con uno spettacolo lirico dedicato in principio ad un pubblico di affezionati - selezionato accuratamente dal marito e manager – ed in seguito, grazie a una serie di particolari eventi, riproposto con tutto esaurito per una schiera di soldati e reduci americani nel famoso Carnegie Hall di New York: luogo impegnato fino alla sera prima da un certo Frank Sinatra.

A rifletterci oggi, sarebbe impossibile immaginare una situazione tipo, eppure – merito non solo della disponibilità economica della Jenkins – all'epoca le informazioni viaggiavano a una velocità e ad una portata decisamente meno rapida, per cui se qualcuno si considerava cantante e il suo pubblico lo identificava come parodia di quel mestiere o come comico, era possibile che prima che le due informazioni entrassero a confronto, di tempo, ne passasse abbastanza. Ed era questo, che ci si creda o no, il misunderstanding che stava dietro al fenomeno di cui sopra, sebbene l’amore (platonico) devoto di St. Clair Bayfield - secondo marito della donna (qui interpretato da Hugh Grant) - ci mise del suo per accentuarlo, proteggendo Florence in qualunque modo possibile e assecondandola in ogni suo desiderio, nonostante ad ogni esposizione rischiasse di perdere reputazione e incolumità. Era affetta da sifilide, lei, infatti, una malattia ereditata dal primo marito che si portava appresso ormai da anni contro ogni diagnosi medica, rispondendosi che l’unico motivo per cui ancora il suo fisico non aveva ceduto era proprio da attribuire a quell'amore che provava per la musica, medicina miracolosa capace di tenerla in vita.

Florence Meryl Streep Hugh GrantEra un personaggio complesso, allora, quello che Stephen Frears doveva portare sul grande schermo, un personaggio sfaccettato, appassionato, con un passato (e un presente) per niente facile che “Florence” delinea praticamente solo a parole: focalizzando la sua attenzione sull'ultimo anno di vita della protagonista. Ciò non ha impedito al regista, tuttavia, di metterci del suo, di alternare dramma e commedia rispettando l’idea di cinema che lo rappresenta, dando comunque priorità alla seconda, alimentata dalle performance surreali di una Meryl Streep gigantesca a cui viene richiesto di cantar male, sebbene l’intonazione buona, sappiamo, non gli manchi affatto (e lo si vede anche qui). Con estrema esperienza e abilità, quindi, Frears, riesce a bilanciare in maniera esemplare i tratti d'intrattenimento e di biopic contenuti nel copione che gli è stato affidato, facendo uscire chiare e forti la generosità umana della Jenkins, l’attaccamento per il mestiere che credeva di eseguire e quell'amore che inizialmente sembrava truffaldino da parte di Grant, ma che poi, invece, si dimostra essere assai differente e dannatamente romantico.

In questo modo confeziona una pellicola deliziosa, divertente e supportata da un cast azzeccatissimo (in cui ha modo di farsi vedere finalmente anche il talento istrionico di Simon Helberg, l’Howard Wolowitz di “The Big Bang Theory”) mai stonato - per rimanere in tema – e sempre a tempo. Dove la patina classica, sottile, poggiata sopra, va a sposarsi benissimo con quel taglio vivace e compatto, tipico della star chiamata in causa.
Una star a cui, a prescindere dalle (non) doti e dal denaro, interessava unicamente di vivere, di ricevere affetto e di compiacere il (suo) pubblico smodatamente.
Sarà per questo che, a tutt'oggi, c'è chi non smette di ricordarla e di volergli bene.

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