La Verità Negata - La Recensione

Mick Jackson
A destare curiosità in un film come "La Verità Negata" è l'allestimento di un processo che, sulla carta, non doveva neppure avere luogo. Un processo che, al massimo, ad essere magnanimi, se proprio doveva essere messo in piedi, poteva rubare ai diretti interessati appena qualche minuto: il tempo necessario per rimettere a posto le teorie folli dell'accusante ed evitare polveroni mediatici pericolosi e fuori luogo.
Eppure quando, a metà degli anni '90, il negazionista David Irving denunciò l'autrice ebrea, Deborah Lipstadt, accusandola di non avere prove per affermare l'esistenza dell'Olocausto, ci vollero mesi ed un team di avvocati con le palle per smentire le sue tesi e mantenere intatta la Storia.

Fu un processo incredibile, quello portato ora sul grande schermo dal regista Mick Jackson, un processo al quale non servì moltissimo per scaldare stampa, opinione pubblica e fare insorgere indignazione a tutti quegli ebrei, inaspettatamente, presi in giro e messi in discussione da un discepolo di Hitler con il talento innato nel sapersi esprimere e nel giocare le sue carte. Di prove concrete, in effetti, ce n'erano poche per chiudere la sua bocca e insieme a quella la farsa che era riuscito ad ottenere in suo favore grazie all'abilità dei tedeschi, che nel campo di concentramento non avevano praticamente lasciato traccia di un massacro che sapevano perfettamente avrebbero pagato caro. Stiamo parlando quindi di una pagina di cronaca importante, che quando vien tirato fuori l'Olocausto quasi mai (al cinema) trova citazioni o precisazioni, sebbene la serietà e il rischio con il quale ne ha messo a repentaglio la credibilità sia stata più seria e alta di quando si creda. Il lavoro di Jackson allora doveva esser quello di portare alla corte del grande pubblico gli eventi che ne scandirono le tappe, chiarire brevemente chi furono e che ruoli avevano i due protagonisti e rivelare quanta tensione e quanta precarietà, in realtà, si portava dietro una questione che per tutti era non archiviata, ma chiusa da anni e documentata.
Compito che gli è riuscito, però solo parzialmente.

Rachel WeiszFunziona meglio quando concentrato nella parte processuale infatti "La Verità Negata", quando Tom Wilkinson, Andrew Scott e gli altri avvocati sono seduti intorno a un tavolo a studiare la strategia meno rischiosa per rispedire a casa un Timothy Spall irriconoscibile, dimagrito e nei panni di un personaggio tanto impassibile quanto spinoso. E' interessante assistere alla tattica, in aula, dei due legali - Wilkinson e Spall, che si difende da solo - che dopo essersi studiati e capiti, vanno all'attacco consapevoli ognuno dei punti di forza e di debolezza dell'altro, mettendo in disparte l'autorità di un giudice che è, si, arbitro, ma che sanno benissimo di potersi manipolare in base alla loro furbizia ed esperienza. Un ping pong psicologico, tosto e gagliardo, indebolito solo dai ritorni ad Auschwitz leggermente forzati e retorici e dalle paure di una Rachel Weisz un po' sottotono e troppo lagnosa, nei panni di questa scrittrice dal carattere tenace, ma sempre li, li per disperarsi o per piangersi addosso.

L'avremmo preferita, magari, integralmente nei panni della cliente rompiscatole partecipe di prepotenza ai meeting dei suoi avvocati. In un film che guardasse all'Olocausto senza tornarci dentro con tutte le scarpe, ispirato, perché no, alle atmosfere e alle suggestioni di quel "Codice D'Onore" così pregevole di qualche decennio fa. Sarebbe stata la decisione più opportuna per premiare in trasversale cast, regia e sceneggiatura, a cui, invece, con le sbavature a cui non badano, non resta che accontentarsi di un prodotto senza infamia e senza lode.

Trailer:

Commenti