Sole Cuore Amore - La Recensione

Sole Cuore Amore VicariDel titolo banale, fuorviante, che ricorda la canzone di Valeria Rossi, tormentone estivo del 2001, il nuovo film di Daniele Vicari non ha nulla, o meglio, solamente una citazione: un ritornello modernizzato, cantato da una bambina nel bar in cui lavora Isabella Ragonese e da un bambino che, a un certo punto, di sana pianta, comincia a rappare dei versi improvvisati, strappando un sorriso laddove da ridere c’è ben poco.

La spensieratezza e la superficialità che il titolo promette, infatti, “Sole Cuore Amore” non ce l’ha mai, perché minato e angosciato dalla doppia parabola di due protagoniste infelici e in crisi per motivi diversi. A spiccare, tuttavia, è il dramma lavorativo (e di vita) di una Ragonese costretta a fare ogni giorno la tratta Ostia-Tuscolano e viceversa per sfamare una famiglia composta da marito disoccupato (che il lavoro lo cerca , ma non lo trova) e quattro figli che altrimenti morirebbero di fame. Roba che, in parallelo, il problema di orientamento sessuale della sua amica performer, vicina di casa, sembra quasi un inezia, così come i rimproveri ricevuti dalla madre, severa, che considera il suo mestiere artistico privo di arte e di parte. Che sia a destra o sia a sinistra, insomma, Vicari tende a calcare la mano, esagerando soprattutto con la rappresentazione di una famiglia tradizionale cui spetta un carico di responsabilità e di disgrazie che, per carità, può capitare, ma in un caso su dieci al massimo. Eppure le sue, in fondo, sono solo buone intenzioni, non ricattatorie, non gratuite, casomai politiche e inquiete verso un paese (il nostro, ovviamente) ridotto a pezzi e disinteressato a prendere sul serio la questione trovando soluzioni reali. Motivo per il quale la sua regia, stretta e pendente principalmente da un lato, finisce con lo struggere e il massacrare psicologicamente e fisicamente lo spettatore che, lontano o vicino dalle corde della vicenda - non importa - empatizza e viene travolto.

Isabella Ragonese Francesco Montanari Sole Cuore AmoreIl lavoro, forse, più complicato e sentito della sua filmografia, da un certo punto di vista: documentaristico nella forma e nei contenuti e costruito al millimetro nelle intenzioni, nella potenza, nei battiti e nella rabbia. Somiglia quasi a uno sfogo “Sole Cuore Amore”, a un’urgenza da far detonare a volume altissimo per richiamare attenzione e suscitare terrore e reazioni: quelle che Vicari, probabilmente, pur non avendo testato in prima persona, ha conosciuto, sentito e sopporta meno di noi diretti interessati, che spesso tendiamo a dimenticare o a non guardare, perché, magari, al momento in condizioni accettabili o migliori degli altri. Ciò che accade nel suo film, se fosse cronaca vera, del resto, di polemiche e di sensibilizzazioni ne susciterebbe a grappoli, farebbe discutere, protestare, darebbe vita a trasmissioni di ogni razza, e, chi lo sa, riuscirebbe a portare in piazza persino milioni di manifestanti. Un vortice che nelle condizioni di schiavitù lavorative attuali non sarebbe affatto eccessivo, ma che per via dell'elemento di finzione, qui, frena i nostri istinti, sgonfiandosi e ammorbidendosi.

Per cui vai a capire, adesso, se prendere lo strumento cinema e alterarlo, trascinarlo su un binario parallelo per provocare, per risvegliare un torpore, sia da considerarsi un gesto sbagliato oppure corretto. Vai a capire se l’intento di Vicari avrà riscontro, ascolto, oppure solamente diti contro e cattive parole. Vai a capire cosa è meglio. Che in questo paese, ormai, il solo provare a farlo, sarebbe già abbastanza, se non metà dello sforzo.

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