Animali Notturni - La Recensione

C’è un anello mancante in “Animali Notturni” che impedisce al racconto di imporsi e di infilzare la lama. Il pezzo della catena necessario, utile a far quadrare i conti, con il quale la creatura di Tom Ford avrebbe veramente potuto incarnare quel predatore temibile, spietato e freddo, in grado di sfiancare la vittima scrutandola, accerchiandola minacciosa e facendola morire dalla paura, prima di affondare gli artigli su di essa, divorandola con il minimo sforzo.
Un anello che, probabilmente, è individuabile nella figura assente di Jake Gyllenhaal, o, per dirla meglio, nella figura assente dell'attore nella sua versione al presente.

Viene diviso su tre spaccati, infatti, il film di Ford: uno principale, con Amy Adams che riceve una bozza del nuovo libro dall’ex marito che la invita a leggere la storia; uno di finzione, con la storia del libro che prende vita nella mente della protagonista; uno relativo ai flashback della storia d’amore (finita) tra la Adams e Gyllenhaal, che fluisce un po’ da mastice legando tutte le trame nella formazione di un corpo unico. Perché, in fondo, è proprio di corpi, poi, che “Animali Notturni” intende nutrirsi, e a dimostrarlo è un’apertura disturbante con donne nude, grasse e di mezza età che ballano goffe e spigliate sulla musica in sottofondo che accompagna i titoli di testa. Corpi di donne che ritornano simmetrici e perfetti, più avanti, maltrattati e abbandonati nel romanzo violento a cui si da ampio spazio, letto con grande trasporto dal corpo più importante: quello glaciale, spento e cianotico, colorato solo da vestiti eleganti e dalle pareti degli ambienti, appartenente al personaggio centrale della Adams. Una sfilata vorace e appassionata, a cui viene a mancare, forse, all'appello, però, il corpo definitivo, quello, appunto, che Ford volontariamente decide di mantenere riservato e proiettato nella mente di noi spettatori, nel tentativo personale di imitare e rivisitare “L'Amore Bugiardo: Gone Girl” di David Fincher, dimezzandolo di un punto di vista e caricandolo di tensione e di angoscia.

Scelta stilistica che non premia affatto l’intreccio della pellicola, anzi, casomai lo sfibra, sfumando la carica di quella sensazione scomoda e disturbante che assale psicologicamente la protagonista, per via di un mancato supporto che aiuti a giustificarla e a restituirla come vivida e percettibile. Rendere meno invisibile, allora, il personaggio di Gyllenhall nella parentesi del presente - dipingendolo, magari, in una variante leggermente dark, in controtendenza con l’uomo debole e affranto che, al contrario, domina i piani paralleli - poteva essere la soluzione migliore per sistemare le cose e aggirare il problema, ma forse l’attitudine di Ford ad essere nei suoi ragionamenti più stilista che regista, in questo frangente, ha costituito la differenza, mancando d’intuizione e pesando nel complesso.
Assorbito da un punto di vista estetico e formale, non a caso, “Animali Notturni” è ineccepibile, impeccabile, curato nei dettagli e sporco quanto basta nella fotografia per adattarsi ai temi e ai personaggi fragili e viscerali che tira in ballo. E’ dal lato cinematografico più denso, tuttavia che, purtroppo, le sue qualità lasciano un tantino a desiderare: a partire dalla composizione di una storia che, se riordinata, risulta troppo fiacca e forzata, per arrivare all'anima nera, freddissima, che ostenta, ma di cui non riesce ad esser padrone, sprecando abbastanza del buon materiale a disposizione da cui poteva, sicuramente, trarre di più.

Convince a metà, perciò, quello che doveva essere l’adattamento cinematografico del romanzo “Tony e Susan” di Austin Wright. Nel lavoro eseguito da Ford c’è il piacere del fascino, la cattura dell’intrigo, l’illusione del genio, elementi incoraggianti e vincenti, ma a cui era imprescindibile affiancare, per amalgamare, unghie più affilate e appuntite con le quali incutere timore e marcare il territorio. La mancanza delle stesse trasuda debolezza, invece. Una debolezza che tendenzialmente - e non siamo i soli a dirlo – rischia di farsi anticamera di sofferenza e distacco.

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