Collateral Beauty - La Recensione

Collateral Beauty Film
Gli serviva un regista con la facoltà di intuire quanto grezza ancora fosse la sceneggiatura a "Collateral Beauty", o, magari, uno sceneggiatore esperto abbastanza da rendersi conto quanto ogni intenzione promettente, racchiusa nel soggetto iniziale, nella stesura finale del copione andasse a morire chissà dove: sposando la tematica centrale della trama, ma non nel senso migliore e costruttivo del termine.

Perché nell'assurdo incontro tra Will Smith e i destinatari astratti delle sue rabbiose lettere, ovvero Morte, Tempo e Amore - secondo lui responsabili di avergli portato via la figlia di soli sei anni - potevano esserci davvero gli estremi per qualcosa di interessante. Una sorta di "Canto Di Natale" rivisitato, probabilmente, che al posto degli spiriti inserisce lo sfondo di una farsa architettata dai colleghi (e amici) della vittima, i quali con l'aiuto di una detective scaltra e un trio di attori squinternati, vorrebbero dimostrare la sua incapacità di intendere e di volere e salvare il destino dell'azienda pubblicitaria di cui lui è maggiore azionario, entrata in declino parallelamente alla sua tragedia. Non a caso l'ambientazione del film mantiene uno stampo di tipo natalizio, sebbene non riesca - allo stesso modo di come riusciva a Charles Dickens - a farne punto di forza e a posizionarlo in primo piano, dove, invece, trova spazio una drammaticità che avrebbe dovuto essere arginata, composta da battute e da dialoghi di discutibile fattura e da una retorica grossolana e piatta che ripetutamente li va ad annacquare. Resta bloccato quindi in una asincronia emozionale che lo fa girare a vuoto "Collateral Beauty", senza riuscire mai ad intercettare quel mood emozionale di vitale importanza per una storia che proprio la pancia e le lacrime aveva l'obiettivo di stimolare. Una storia a cui non mancavano nemmeno l'ironia e le gambe per farsi profonda, ma allo tesso tempo leggera, munita di abbastanza carne al fuoco su cui operare e di un telaio comodo, ma funzionale, con cui collegare (e guarire) indissolubilmente ogni personaggio secondario ai dolori del suo protagonista.  

Collateral Beauty Will SmithSpreca così l'opportunità di utilizzare un cast di grande livello e di sfruttarlo al massimo delle risorse, la pellicola: che premia l'interpretazione di uno Smith più avvantaggiato degli altri nel riuscire a guadagnarsi la sufficienza piena e di una Helen Mirren che strappa un paio di sorrisi, conservando la simpatia che gli appartiene e che già, personalmente, manifestavamo nei suoi confronti. Sprecate, purtroppo, sono le partecipazioni di Kate Winslet e Keira Knightley, a cui vien riservato uno spazio leggermente più largo di un cameo, nel quale però non riescono a mettersi in luce, mentre un pochino meglio vanno le cose per Edward NortonNaomie Harris, Michael Peña e Jacob Latimore, nonostante l'epilogo delle loro storie resti comunque un po' offuscato tra le pieghe di un'approssimazione trasversale che è praticamente punto debole sovrano del lavoro del regista David Frankel.
Un lavoro tanto ingarbugliato e appannato da mandare in fumo persino il buon colpo di scena conclusivo: nel quale, tuttavia, vien rinforzata quella sensazione di sorte migliore che "Collateral Beauty" - secondo chi scrive - poteva meritare, se solo la pazienza e il non adagio su attori di primo livello avesse preso il comando e sistemato le sue sbavature.

E questa, forse, è l'unica bellezza collaterale che da spettatori ci è stato concesso di cogliere; questa e, magari, quella totalmente cinefila di immaginarci Richard Curtis alla regia e alla sceneggiatura del film, con esiti terminali indiscutibilmente migliori e sorprendenti di quelli concreti.
Un bottino, obiettivamente, piuttosto insufficiente per farci sentirci appagati.

Trailer: 

Commenti