Dopo L’Amore - La Recensione

Dopo L’Amore Poster
Della separazione al tempo della crisi ce ne aveva parlato già Ivano De Matteo con “Gli Equilibristi”, raccontando di una famiglia finita per un tradimento e di un marito (colpevole) costretto a ridursi a barbone con doppio lavoro pur di riuscire a pagare gli alimenti dei due figli alla moglie. Una soluzione drastica, plausibile, ma a quanto pare non l’unica a disposizione: come mostra la variante francese, diretta da Joachim Lafosse, che con un tocco apparentemente meno drastico ci porta all'interno di un matrimonio finito, ma con marito e moglie ancora sotto lo stesso tetto, alla ricerca di un punto d’incontro sulla separazione che tarda ad arrivare e in mezzo due piccole gemelle costrette a subirne passivamente la tensione tra frecciate, discussioni e vili giochetti.

Lui vuole la metà dell’appartamento, lei vuole dargliene un terzo. Lui è un architetto praticamente disoccupato, lei una figlia di papà che nella vita ha sempre avuto la strada spianata. Dinamiche che, probabilmente, avranno fatto la differenza nell'evoluzione della fine del loro amore, sgretolato peraltro non per via di una relazione extraconiugale, ma per lo scemare fisiologico della passione. A tenerli ancora uniti, quindi, solo una questione economica, come preannuncia il titolo originale “L'Economie Du Couple” (assai più calzante ed evocativo del nostrano e approssimativo “Dopo L’Amore”) e ufficialmente lo confermano sia lui che lei nel privato e agli amici: sebbene ai nostri occhi la sensazione che tra Marie e Boris sia rimasto qualcosa di profondo e di eterno la si percepisce ogni volta che i due (o meglio, lei) lasciano andare rabbia e testardaggine, riavvicinandosi per ricordare com'era salvifico stare insieme o semplicemente tenersi la mano. Troppo poco, però, per pensare di compiere un passo indietro, specie in un'epoca e in una società come questa, dove – come appunta giustamente la madre di lei - se qualcosa si guasta viene sempre buttata via, ed è un diktat che non riguarda più solo gli oggetti, ma una politica entrata dentro i nostri valori, fino a infettarli alla radice.

Dopo L’Amore LafosseEppure a seguirli nella routine, nella solitudine, come anche nei diverbi urlati tra le mura del loro appartamento, a noi spettatori viene voglia di sperare che questa coppia riesca a un certo punto a mettere da parte i suoi impunti, i suoi silenzi e azzardare una ripartenza che possa, magari, rendere più continuo quel flusso pacifico che in due, massimo tre scene, Lafosse decide di concederci emozionandoci al punto da farci bagnare gli occhi e tirarci via un sorriso. Perché è evidente la preziosità di ciò che andrebbero a spezzare, l’energia di quel sentimento vivo che sgomita pur di farsi sentire, cercando con le poche forze rimaste di ribellarsi alla follia di una felicità migliore o, peggio ancora, perpetua che soprattutto Marie è convinta di meritare e di potere ottenere. Sotto, sotto infatti è lei quella con le forbici in mano, la più risoluta a voler chiudere i battenti, a tagliare la corda tesa di un marito che, per quanto forse disastroso, non ha problemi a reiterare il suo amore e la disponibilità a far di tutto pur di non avere rimpianti futuri sulla relazione.

Un requisito che, per certi versi, contribuisce a rendere “Dopo L’Amore” un film abbastanza femminista, con donne padrone di casa che impongono, affermano e rilanciano la conquista assoluta di un potere che mette l’uomo all'angolo e addirittura nella facoltà di chieder lui gli alimenti. Una scelta forse voluta e non casuale, magari in linea con lo stile ai limiti del documentaristico di Lafosse che con grande asciuttezza si distacca il più possibile dalla finzione, confezionando una pellicola praticamente priva di difetti, magnetica e dalla quale si resta impossessati.

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