Ghost In The Shell - La Recensione

Ghost In The Shell Film
Intuire le motivazioni che hanno portato alla produzione cinematografica di un manga come “Ghost In The Shell” è piuttosto elementare. Nell’universo ideato da Masamune Shirow, infatti, è contenuto praticamente il meglio del cinema di fantascienza degli ultimi anni, spunti narrativi da cui molti titoli si sono lasciati influenzare e un immaginario scenografico che non ha nulla da invidiare a quello di “Blade Runner”, dal quale, viene il dubbio, il fumettista giapponese a suo tempo (i primi numeri risalgono al 1989) possa essersi ispirato.

Il problema allora, in questi casi – e specie se si arriva comunque con un ritardo considerevole sulla scena - è rivelarsi all’altezza della situazione, saper prendere quanto di buono si ha tra le mani ed esaltarlo al massimo delle sue potenzialità, guardando magari proprio ai lavori di chi, in precedenza, ha rovistato con criterio tra quelle idee, agguantando il successo. Quello che avrebbe dovuto fare e non ha fatto il regista Rupert Sanders, insomma, era prendere di petto il “Matrixdei fratelli delle sorelle Wachowski e replicare con le dovute differenze del caso una struttura di racconto solida, trainante, che facesse ripercorrere alla protagonista Mira di Scarlett Johansson la scoperta delle sue origini e il suo destino con la medesima tensione ed entusiasmo toccati dal Neo di Keanu Reeves. Non c’era bisogno neppure di andare a trovare chissà quale angolazione specifica per risultare efficaci e centrare l’obiettivo, era sufficiente affidarsi alla collaudatissima storia, concederle il giusto peso, e dopo andare a guarnire con gli effetti speciali, la spettacolarizzazione e qualche attacco di estro tutto il contorno relativo all’estetica e a quel mondo cyberpunk che è stato ed è uno dei punti di forza maggiore della saga. Lavoro che “Ghost In The Shell” compie praticamente al contrario, inviando sulle prime, in alcuni lampi, la sensazione di un linguaggio molto vicino a quello adoperato nella videoarte, sbagliato quindi, se l’intento è quello di voler raccontare qualcosa in termini cinematografici: quelli che prova a recuperare con affanno in corso d'opera, senza rintracciare mai veramente, però, l’elaborazione grammaticale idonea che lo aiuti a raggiungere il culmine dell'incisività.

Ghost In The Shell FilmCosì come affascina e convince esteticamente - anche nell'utilizzo di un 3D che in un combattimento corpo a corpo, a piedi nell'acqua, rivela meravigliosamente la sua profondità di campo - allo stesso modo annoia e infastidisce al punto da far venire addirittura voglia di smettere la visione, la pellicola di Sanders, la quale procede secondo una rotta tutta sua che in nessun frangente prevede la partecipazione attiva dei suoi spettatori. La curiosità del futurismo, dei robot, di un'azione che cerca di rinnovare in tutti i modi la bellezza visiva e mozzafiato delle arti marziali smette di funzionare presto da ancora di salvataggio, esaurendo con largo anticipo il suo piglio, rispetto ai tempi di una sceneggiatura che troppo tardi decide che è giunto il momento di mettere da parte gli indugi e andare a scavare nelle radici e negli enigmi del suo personaggio e della trama, tant'è che quando la situazione comincia davvero a farsi interessante, ormai è ora di chiudere i battenti e dare il via a quello scontro telefonato, almeno quanto telefonato è il suo esito conclusivo.

Appassionarsi a questo universo distopico, fatto di esseri umani ricostruiti con parti meccaniche, di robot a cui vengon trapiantati cervelli umani e di ribelli che provano a frenare l'avanzata di una tecnologia che vorrebbe ingoiare e sostituire la razza umana quindi proprio non ci riesce. E non ci riesce nonostante siamo in grado di intravederne nitidi la bellezza e le potenzialità, l'originalità e le infinite evoluzioni, la sensualità a singhiozzo di una Johansson formato soldato che, sinceramente, aveva saputo esaltare e nobilitare meglio Luc Besson nel suo, per nulla ineccepibile, ma in confronto prodigioso, "Lucy".

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