Civiltà Perduta - La Recensione

Civiltà Perduta Hunnam
Il vero mistero da risolvere è che fine abbia fatto il James Gray migliore, quello de “I Padroni Della Notte” e di “Two Lovers”. Un mistero che, a vedere “Civiltà Perduta”, è sicuramente più interessante e oscuro dell’esistenza reale o immaginaria della città di Zeta da cui il protagonista Charlie Hunnam è ossessionato e attratto.

Un luogo nascosto tra il fango, le tribù cannibali e la vegetazione dell'Amazzonia, terra di scoperta e di riscatto dove il suo Percy Fawcett va alla ricerca smaniosa di onorificenze e di gloria capaci di cancellare la cattiva sorte di un cognome evidentemente non proprio fortunato per lascito. Cognome per il quale è disposto a sacrificare famiglia e matrimonio, moglie e figli e a rischiare vita e uomini a ripetizione, perseguendo quella che per lui, di fatto, è una certezza mentre per molti è solo una chimera. Un richiamo all'avventura, alla curiosità dell’uomo e alle atmosfere affascinanti e imprevedibili legate all'ignoto e all'esplorazione allora, tematiche che Gray sceglie di tratteggiare controbilanciando il tutto con la rappresentazione, sullo sfondo, di una società conservatrice, mentalmente chiusa e sull'orlo di una inaspettata Prima Guerra Mondiale; una società nella quale erano già evidenti le scorie di conquista e di violenza, così come quelle di ribellione e di emancipazione di alcune donne a cui non stava bene - per usare un eufemismo - limitarsi a indossare il corsetto nelle serate di gala organizzate dai loro mariti. Il tentativo, probabilmente, è quello di accarezzare un parallelo tra le epoche che avanzano e determinate pieghe che comunque non smettono di restare confinate ai nostri schemi, intralciandoci nell'integrazione e nello sviluppo e condannandoci, per così dire, al conflitto e alla paura.

Civiltà Perduta GreyNon gli mancavano gli spunti dunque al romanzo “Z La Città Perduta” di David Grann per potersi affacciare come un prodotto cinematografico di puro intrattenimento ma allo stesso tempo anche di grande spessore. Nell'adattamento di Gray infatti si percepiscono forte gli intenti, i sottotesti e la voglia di rievocare lo spirito e le suggestioni di un viaggio (a cui poi ne seguiranno altri) storicamente avvenuto davvero, eppure assai simile per organizzazione e follia a una caccia alle streghe in cui si ha solo da perdere e poco da guadagnare. Peccato che nonostante ciò a prendere il sopravvento sia quasi sempre (e subito) la noia, una noia alimentata da un mancato senso di centralità e di lucidità narrativa, da un ritmo impreparato a comprendere i tempi da dilatare e quelli da comprimere e da un senso di inadeguatezza e cognizione generali dai quali “Civiltà Perduta” non riesce mai a scastrarsi e che paiono essere figli del talento di un regista ultimamente piuttosto in crisi, nonché copia sbiadita di sé stesso.

Più che l'El Dorado boliviano perciò la domanda che sorge post e durante la visione della pellicola è se esista ancora o meno la possibilità di rivedere il piglio di Grey nelle sue condizioni ottimali, quelle che lo avevano spinto velocemente agli apici del cinema indipendente americano e che facevano somigliare i suoi lavori a dei giganteschi tesori per intenditori. Tesori che, rispetto a quello vago, grezzo e ambiguo, appartenente alla città di Zeta, con un minimo di coordinate e un pizzico di volontà potevano essere facilmente scovati, raccolti e assaporati da tutti.    
Un'abitudine che ci piacerebbe presto ritrovare.

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