Belli e (im)Possibili: Raw (Grave) - La Recensione

Raw Grave
C’è un momento, nella vita di tutti, in cui bisogna iniziare a camminare con le proprie gambe, in cui il sostegno dei genitori si fa più elastico e si comincia, per necessità soprattutto, a doversela vedere da soli. Questo momento, per quanto ritardato possa essere e per quanto inquietante e ansiogeno possa sembrare agli iper-protetti, può sfuggire a moltissime insidie e a molti varchi, ma nulla può se messo faccia a faccia con il college e le sue regole: i college europei , per intenderci, quegli istituti in cui per studiare ci si trasferisce in pianta stabile e dove l’introduzione e l’ambientamento è piuttosto simile a quello che in Italia, una volta, era il militare per gli uomini.
Lì devi vedertela da solo, nessuno può proteggerti. Lì, il tuo vero io esce fuori, si manifesta, si forma.

Ce lo spiega meglio, e di sicuro in una forma maggiormente divertente e disturbante, la regista e sceneggiatrice francese Julia Ducournau, che con la sua opera prima “Raw” (o “Grave”, dipende da chi distribuisce) racconta appunto la liberazione totale degli istinti di una ragazza, probabilmente – e lo capiamo da un antefatto ambientato in un ristorante – abituata per gran parte della sua esistenza a vivere sotto l’ala protettrice di una madre e di un padre decisamente premurosi. E’ una ragazza dimessa infatti Justine, timida, una di quelle che non ha neppure il coraggio di lamentarsi se dentro il suo purea di patate c’è una polpetta di carne e lei ha chiaramente fatto presente al cameriere di essere vegetariana. Un comportamento che da matricola qual è gli comporta non pochi problemi nella sua nuova scuola per veterinari, dove come da prassi è costretta a superare varie fasi di inserimento a cui, di certo, non puoi cavartela rispondendo con un cortese “no, grazie”. Nulla a che vedere con la sorella, insomma, che in quella stessa scuola ha già una reputazione solida e disinibita, una sorella maggiore che dai genitori è vista come la ribelle impunita e che non mancherà di (non) aiutare Justine a mangiare un rene di coniglio in quello che è un rituale che dovrebbe evitargli di venire emarginata e presa di mira dall'intero istituto. Rene di coniglio che, suo malgrado, rappresenterà per lei il rovesciamento di ogni certezza, il termine di uno stato dormiente svegliato di soprassalto.

Grave FilmPerché assaggiato quel pezzettino di carne Justine si rende conto che forse tanto vegetariana, in fondo, lei non lo è mai stata, che sotto quella sensazione di rigetto e reazione cutanea, con tanto di prurito ed esfoliazione della pelle, potrebbe esserci dell’altro, magari una rivelazione che da tempo aspettava di emergere e che ora finalmente ha trovato una strada. Così, quella suspense e quella negatività percepita sin dalle prime battute comincia improvvisamente a prendere forma, ad assemblarsi nell’horror a tutti gli effetti che, stringendo stringendo, poi “Raw” vuole essere: fierissimo del suo manifestarsi esplicito e crudo come il significato italiano del titolo che porta. Di problemi nei confronti degli spettatori la Ducournau se ne fa pochi, del resto, se c’è da mostrare un animale morto, prossimo all’autopsia, non gira assolutamente la macchina da presa, quando c’è del sangue addirittura indugia e non vede l'ora di sostare su un quadricipite di una gamba, praticamente fatta a pezzi, nell’istante clou della pellicola dove le conclusioni, grossomodo, vengono tracciate. Non siamo ai livelli scioccanti dei cannibal-movie per eccellenza, insomma, ma nemmeno in quelli del vedo non vedo dove si cerca di proteggere (lo stomaco) lo spettatore: che sicuramente in più di un occasione dovrà sforzarsi per non girare la testa mentre Justine cavalcherà il percorso che la condurrà a scoprire la sua vera identità, deflorando pian piano (e a più livelli) l’immagine da (seducente) santarellina con la quale ci era stata presentata.

Cannibalismo, sesso, il, già citato, sangue cosparso a litri.
Non si fa mancare proprio niente "Raw" pur di rispettare la tradizione e convincere gli appassionati del genere, nonostante la Ducournau provi ad imprimere comunque il suo carattere, evitando di costruire una storia dai connotati riciclati, sbiaditi e scontati. Perché in fin dei conti non parla solo di crescita il suo film, dei percorsi che ci fanno capire chi siamo e cosa vogliamo, ma parla anche di una famiglia, di una famiglia condannata da qualcosa di cui non ci è concesso sapere le origini (ammesso che loro le sappiano) e alla disperata ricerca quindi di sfuggire a un destino che però, purtroppo, appare già scritto. Un destino che l'ormai consapevole Justine dovrà imparare ad affrontare da sola, spaventata e sfiduciata, ma munita di abbastanza forza e coraggio per non abbassare la testa e digrignare i denti.

Trailer:

Commenti