Assassinio Sull’Orient Express - La Recensione

Assassinio Sull’Orient Express Poster Branagh
La domanda che la maggior parte di noi si è posto, quando si è venuto a sapere di un remake cinematografico di “Assassinio Sull’Orient Express”, è stata: perché?
Per carità, siamo nel periodo meno appropriato per rimanere a bocca aperta di fronte ad operazioni di questo tipo, però quando si tratta di romanzi di Agatha Christie e di thriller da camera (qui sarebbe meglio dire “da carrozza”, ma vabbè), l’istinto è quello di prendere tutto un po’ più sul serio rispetto ad altri contesti. Un errore da principianti, verrebbe da dire adesso che le risposte sono venute alla luce, una conclusione affrettata che non ha tenuto conto di quanto oggi, ormai, tutto è potenziale franchise, tutto è rivedibile e aggiornabile secondo le richieste del mercato moderno. Classici compresi.

Una realtà che, da alcuni punti di vista, sorprende, in effetti, distorta dall'influenza negativa di una corrente che non avrebbe dovuto appartenergli e che - se vogliamo - neppure meriterebbe. Però, d’altra parte e col senno di poi, davvero, c’era da aspettarselo che l’obiettivo non poteva che essere questo, che all’Hercule Poirot di Kenneth Branagh valeva la pena provare a cucire un vestito su misura, comodo ed elegante, che fosse in grado di adattarlo benissimo al ruolo di icona per contrapporlo poi, nel modo più efficace possibile, a uno Sherlock Holmes, o - perché no – a un super-eroe a piacere. Quello che, magari, era più difficile da prevedere era che tale ristrutturazione sarebbe andata a penalizzare pesantemente l'intreccio che si voleva raccontare, messo forse volontariamente in secondo piano per far risaltare la personalità, il conflitto interno e il modo di fare del vero protagonista, ma prosciugato oggettivamente di vivacità e ritmo-serrato, da rendere piuttosto affannato e debole il peso specifico di un progetto che, con tutti i suoi difetti - va detto - aveva le carte in regola per imporsi e persuadere.

Assassinio Sull’Orient Express 2017Perché Branagh si vede che si sente a suo agio a fare il detective, a portare quei baffi enormi sotto i quali si fa beffe degli altri e se la ride, mentre intorno a lui c’è ancora chi lo sottovaluta e chi lo battezza superficialmente come un soggetto strambo, dalla fama ingiustificata. Gli piace impersonare questa persona convinta che nel mondo esista solo il giusto e lo sbagliato, tassativamente contraria quindi alle sfumature e a proprio agio nella funzione di paladino di un equilibrio che va obbligatoriamente ripristinato semmai dovesse sbilanciarsi da un lato. Certezze che, come sappiamo, verranno fatte letteralmente a pezzi da uno dei casi d'omicidio più incredibili che si possano immaginare, dove la filosofia di Poirot dovrà per forza di cose rivedere i suoi dettami e scendere a compromessi con l'effettiva natura dell'essere umano: assai più complessa del semplice o bianco o nero.
Un tragitto che lo stesso Branagh – anche regista del film - compie con eccellente raffinatezza e impegno, provando a infondere atmosfera e suspense come da copione, nonostante quello che ha tra le mani, di copione, il paradosso vuole sia, purtroppo, squilibrato e impossibile da riassestare (in corsa) persino per uno scaltro come Poirot.

Infatti succede che, come il treno del film, da un certo punto in poi si pianta questo "Assassinio Sull’Orient Express", non riesce a calibrare come vorrebbe i caratteri degli altri personaggi e, pur non arrivando mai ad annoiare lo spettatore, non ce la fa nemmeno a incollarlo alla poltrona come doveva e poteva fare: troppo preoccupato e preso, probabilmente, da un progetto a lungo termine da sviluppare che, avendo lasciato già i binari, ora, va assolutamente - appunto - riequilibrato.

Trailer:

Commenti

  1. Ci vuole un bel coraggio a sfidare il capolavoro del 1974...
    L'andrò a vedere sabato sera e poi mi toccherà recensirlo!
    Kenneth Branagh in quanto regista sfida Sidney Lumet e in quanto Poirot sfida Albert Finney
    e J. Depp, spompato com'è, reggerà il confronto con R. Widmark?
    chi rischia di meno è Penelope; forse per evitare il confronto con Ingrid Bergman la figura di Greta (missionaria svedese) si trasforma in Pilàr (infermiera spagnola) e nessuno si farà del male

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