Wonder - La Recensione

Wonder Film
Stando a quanto dichiarato dall'autrice del libro, Raquel Jaramillo, la storia di "Wonder" nasce casualmente dal suo incontro in gelateria con una bambina affetta dalla Sindrome di Treacher Collins: incontro non proprio fortunato perché avvenuto in compagnia di suo figlio piccolo, il quale, alla vista del viso deformato della bambina, cominciò a piangere senza sosta, obbligandola a correre via imbarazzata. Tornata a casa, il senso di colpa relativo alla gestione di quella situazione ha cominciato ad affliggerla, e da lì è nata l'ispirazione.

Va da sé, insomma, che “Wonder” è innanzitutto una dichiarazione di scuse, il testamento emotivo di un corto circuito causato da ciò che dentro di noi sosteniamo di essere e di avere e quello che mostriamo concretamente al mondo nell’istante effettivo in cui ci mette alla prova. Tuttavia la Jaramillo nel suo racconto non si dedica a questo scarto, come nemmeno l’adattamento cinematografico dello stesso, diretto da Stephen Chbosky; quello che fanno entrambi, infatti, è mettere insieme più pezzi possibile, nel modo più giusto possibile, per sensibilizzare il lettore e lo spettatore nei confronti di chi, suo malgrado, ha avuto la sfortuna di nascere (o di esserne stato colpito, fa lo stesso) con una malattia rara (o handicap) che ogni giorno lo porta ad approcciarsi con difficoltà e pesantezze maggiori a un esterno il più delle volte ostile e insensibile. Quella bambina della gelateria allora diventa August "Auggie" Pullman, un bambino tenuto al sicuro dalla sua famiglia dal giorno della sua nascita (a cui sono seguite 27 operazioni), ma che adesso deve provare a integrarsi nella normalità della vita attraverso l’ostacolo della scuola media: passo complicato non tanto per via dei suoi studi - fino ad ora effettuati in casa con la madre - quanto per la spietatezza innegabile di ragazzi e ragazze che non potranno fare a meno di farlo sentire diverso come un alieno e di prenderlo in giro.

Wonder Julia RobertsStruttura narrativa con cui non si può fare altro che scendere a patti, dunque, moralmente costruita per farsi piacere, per sensibilizzare, commuovere, ma allo stesso tempo una struttura narrativa che non si adagia su queste sue caratteristiche e cerca dall'inizio a quasi fino alla fine di tenere a bada la retorica e abbracciare sia lo spirito, sia la durezza della realtà. Cambia spesso punto di vista, fortunatamente, Chbosky, fornendo com’è logico che sia maggior spazio al suo protagonista, ma andando a raccontare quella che è una situazione che, in qualche modo, coinvolge tutti, anche attraverso gli occhi di una sorella maggiore ormai conscia di dover ricevere minori attenzioni, di una madre che si è completamente annullata per il proprio figlio e di un padre che con l’ironia ha il compito e l’istinto di sdrammatizzare le tensioni (con una piccola parentesi aggiuntiva, dedicata alla migliore (ex)amica della sorella).
Così facendo "Wonder" riesce quindi ad acquisire l’ottimo pregio di rievocare con discreta abilità l'esperienza scolastica (privata compresa) di molti - probabilmente di tutti - trattando, si, in primis, le difficoltà enormi riscontrate da un ragazzo che purtroppo fa discorso a parte, ma con (e tramite) lui altre dinamiche e conflitti che, al contrario, hanno valore assai universale, come poi conferma la trazione del pubblico nel recepirli.

Questo ovviamente in parallelo alla coesione di una famiglia che lentamente, tra contrasti, chiarimenti e intese, solidifica il suo nucleo, agguantando un equilibrio che, onestamente, non pareva raggiungibile neppure secondo i loro migliori auspici. Un equilibrio che è un po' quello su cui Chbosky danza costantemente, tentando di tenere ferma la mano e fare in modo che uno script composto, per certi versi, a tavolino non cada mai nel ricattatorio o nel sentimentalismo smisurato.
Un lavoro che gli riesce piuttosto bene, tranne per gli ultimi dieci minuti dove, magari, si distrae un tantino, allentando un pizzico il freno.

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