Red Sparrow - La Recensione

Red Sparrow LawrenceLa guerra fredda non è finita, è solo andata distrutta in tanti, pericolosissimi, pezzi.
Parte da quest’assunto (in linea di massima) il “Red Sparrow” di Francis Lawrence - che poi è un adattamento del romanzo “Nome In Codice: Diva” scritto da Jason Matthews - per giustificare e collocare politicamente una spy-story moderna, per certe pieghe ispirata al fumettoso e più movimentato “Atomica Bionda” di David Leitch, mentre per altre intenta proprio a volerne prendere le distanze, attraverso un savoir-faire elegante e assai misurato, mai disperso strada facendo.

Del resto anche in questo caso c'è una donna mozzafiato a creare scompiglio diplomatico tra due potenze politiche, a usare il suo corpo, il suo erotismo e la manipolazione psicologica per guadagnare informazioni, ingannare persone e portare avanti un doppio gioco che non si sa mai davvero se sia solo doppio, oppure miri a moltiplicare notevolmente i suoi livelli. La donna in questione, ovviamente, è una Jennifer Lawrence, forse, mai così bella e così generosa nei confronti della macchina da presa: prima-ballerina al Bolshoi di Mosca, in principio, e poi - colpa di un bruttissimo incidente sul palco - spia per assecondare i ricatti morali di uno zio vicinissimo al Capo dello Stato e convinto che il potenziale nascosto della nipote e la sua bellezza possano diventare materiale vantaggioso per scoprire l’identità di una talpa americana radicata, da anni, all’interno del governo Russo. Una missione che, per entrare nel vivo, ha bisogno allora di una sosta fondamentale nella scuola d’addestramento dei cosiddetti Sparrow citati nel titolo: agenti segreti di ambo i sessi, fisicamente dotati e attraenti, nonché severamente temprati per imparare a intercettare il desiderio erotico della loro vittima, assecondandola affinché possa dargli, infine, tutto ciò che desiderano.

Red Sparrow FilmUna pellicola quindi con tutte le carte in regola per cavalcare il binario dell’erotismo alla-Paul-Verhoeven, così come idonea a puntare la maggior parte delle sue fiches sul thriller, abbandonandosi a un intrigo torbido e ricco di ribaltoni alla-David-Fincher: due strade diverse, difficilmente praticabili contemporaneamente - a meno di un talento sopra la media - che Lawrence prova a percorrere a turno, dando quasi l’impressione che il suo “Red Sparrow” sia il risultato di due disegni differenti, incompleti e sovrapposti l'uno con l'altro. Un costo calcolato, probabilmente, da pagare ogni qual volta si riceve il compito di realizzare un prodotto di genere che, tuttavia, deve essere in grado di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, risultando, dunque, mainstream e lontano da quell'autorialità che - per esempio - poteva andare trovarsi nella sottotrama - sviluppata in maniera molto superficiale - legata al rapporto e all’abuso (metaforicamente sessuale, ma poi mica tanto metaforicamente) di uno zio verso sua nipote.

Che poi sono intuizioni, queste, che (ed è il motivo principale per cui lo si rimprovera) "Red Sparrow" carpisce, accarezza con dolcezza, ma non se la sente di affrontare veramente di petto come la sua protagonista fa con la realtà che la circonda: quella realtà che le ricorda continuamente di una libertà da conquistare, una madre in pericolo (che poi è la motivazione che la spinge a sottostare agli ordini) e una partita di potere che per lei ha valore relativo, ma che, allo stesso tempo, è ago della bilancia del suo futuro, e del suo destino.
La stessa partita che il Lawrence regista - da americano doc - per non saper né leggere e né scrivere, preferisce far terminare con una vittoria silente e fortificante per il suo paese. Perché in fondo, in fondo - nonostante il suo film racconti la storia di una ragazza russa e dalla Russia si metta in moto per poi ritornare - ogni occasione è buona per ribadire quanto comunque con la bandiera a stelle e strisce sia meglio non mettersi a scherzare. O no?!

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