End Of Justice: Nessuno E’ Innocente - La Recensione

End Of Justice: Nessuno E’ Innocente Washington
C’è un Denzel Washington straordinario, immenso, ai limiti dell’impressionante a trascinare il battito di “End Of Justice: Nessuno E’ Innocente”. Un Denzel Washington così in forma, così dentro il suo personaggio da riuscire a camuffare a lungo una verità che, tuttavia, alla fine non può che uscire fuori: quella di un intero resto, intorno a lui, per nulla all'altezza.

E non è tanto una questione di cast, di competitività scenica: perché Colin Farrell, nel piccolo dello spazio concessogli, è bravissimo a interpretare il ruolo dell’avvocato di lustro, vincente e attento maggiormente alla fatturazione del suo immenso studio che a cose più "superficiali" tipo i diritti civili, il razzismo e la scarsa attenzione con cui certi processi, a volte, vengono liquidati o gestiti. Lo stesso potremmo dire della Carmen Ejogo che, invece, da volontaria qual è a questi temi ci è parecchio affezionata, anzi a un certo punto non gli pare vero di incontrare il Roman J. Israel di Washington e vedere che, in giro, esiste qualcuno più ossessionato, attaccato e morboso di lei nel difendere i valori di una società allo sbando, in cui ora vivono giovani ragazze che ti mandano persino a quel paese se per gentilezza tu ostenti galanteria. No, il problema della pellicola scritta e diretta da Dan Gilroy – che poi è lo stesso che aveva diretto il cupissimo e bellissimo “Lo Sciacallo: Nightcrawler” con Jake Gyllenhaal – sta a monte, ovvero in una sceneggiatura scrupolosissima nel tratteggiare il carattere, la profondità e la parabola discendente del suo protagonista freak, ma incapace di costruirgli intorno un perimetro solido in grado di mettere in moto quel thriller a tinte legali che, a sprazzi, fa intendere di voler intercettare e guardare come modello.
Un problema riconosciuto, messo a fuoco e affrontato da Gilroy già nella prima fase di rilascio del suo lavoro (post presentazione al Toronto International Film Festival), che lo ha portato infatti a rimontare il tutto, agevolando ritmo, sforbiciando minuti superflui e modificando qualcosina.

End Of Justice Colin FarrellOperazione che - va detto - considerando il montaggio ormai definitivo di “End Of Justice: Nessuno E’ Innocente” ha comunque garantito i suoi frutti; fornito alle circa due ore di pellicola una trazione accettabile e mai pedante, sebbene non sia servita poi moltissimo a rimescolare in maniera organizzata e adeguata tutto quel contorno legato alle conseguenze di un Washington che, a un certo punto, - causa eccesso di arroganza – commette un grosso errore (imprevedibile, però) che lo spinge a passare da paladino della giustizia e Don Chisciotte emarginato, ad avvocato da palcoscenico, affamato di successo e denaro, intento a recuperare quel tempo perduto dietro audacie che nessuno al mondo sembra avere intenzione di appoggiargli o di riconoscergli veramente. Un cambio di rotta, di personalità, che riusciamo a scorgere e a comprendere dalla sua rivoluzione estetica e comportamentale, ma che la storia da’ quasi l’impressione di non riuscire a seguire, stando al passo e mancando, di fatto, l'appuntamento con con quella tensione crescente, mai allestita, che avrebbe dovuto accompagnarci verso un emozionante epilogo.

Contrattempo che fa dissolvere come un buco nell'acqua tutta la curiosità immessa dal prologo assurdo con cui la pellicola di Gilroy aveva aperto i battenti e lasciato intravedere i suoi intenti. Quelli non concretizzati, che perde distratto lungo il tragitto, ma distinguibili nel tessuto di un racconto che – e non solo per l’interpretazione giustamente candidata all'Oscar del suo protagonista – avrebbe meritato di sicuro più giustizia.

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