Atmosfere notturne, incendi, crimini e commissari (e tenenti).
Sono gli ingredienti del polar (co-scritto e) diretto da Arnaud Desplechin, ambientato in una Roubaix
decadente e dimenticata, dove povertà e bisogni generano malavita e spingono inevitabilmente oltre i limiti.
In sostanza trattasi di ordinaria amministrazione – c'è chi fa il furbo con l’assicurazione, chi scappa di
casa facendo perdere le sue tracce – ma nonostante per sbarcare il lunario nella maggior parte dei casi pare sia sufficiente sottrarre i venti euro al fornaio, c’è sempre chi alla fine – in maniera premeditata o meno – finisca con l'alzare la posta e cacciarsi davvero nei guai.
E noi siamo lì, in attesa che questo accada.
Lo sappiamo, ne siamo consapevoli, perché come dice il tenente arrivato da poco nel distretto: “Roubaix è
la città più povera della Francia!”. Ed è proprio lui a mettere il primo piede lungo la via che diventerà poi
luogo del crimine, investigando su un incendio misterioso, in merito al quale testimonieranno due ragazze –
amanti – incapaci di inchiodare i colpevoli perché “lì noi ci abitiamo e lo capirebbero tutti!”.
Nessuno è innocente, dunque, ma neanche da colpevolizzare: specie se la criminalità non è più una scelta,
ma incentivata dalle condizioni politiche e sociali del territorio. E, forse, è proprio questo l’aspetto più
interessante – più romantico? – della pellicola di Desplechin, quello che – di fatto – contribuisce a renderla
assai più grande e densa di ciò che in apparenza potrebbe sembrare. Raramente, infatti, è capitato di
vedere il bene guardare al male e sospendere ogni minimo giudizio; trattarlo con un pizzico di indulgenza
(sarcasmo, a volte), di comprensione e con una severità che – quando c’è – dà la sensazione di essere più di
facciata che nutrita. Persino (e soprattutto) quando ci scappa il morto questo atteggiamento non subisce imponenti variazioni, nonostante il clima si faccia inesorabilmente più intransigente e pesante e le due ragazze
sospettate – di avere ucciso un’anziana signora – vengano messe sotto torchio e tenute separate fin
quando ognuna non abbia rilasciato la sua versione dei fatti.
E se da quel momento in poi la strada narrativa di “Roubaix, Une Lumière” appare praticamente spianata e
in discesa, ancora tanto resta da vedere sotto l’aspetto umano e intimo dei suoi personaggi. Dalle fragilità e
lo sguardo perso di Sara Forestier, alla scorza emotiva granitica e quasi impossibile da ammorbidire di Léa
Seydoux. Nei loro volti, nelle loro domande e nelle loro lacrime è racchiuso un intero passato fatto di errori,
difficoltà, sofferenze, pezzi che sia il commissario che il tenente conoscono a menadito - perché universali da quelle parti - e non hanno alcun
bisogno di andare a rievocare da vicino. Parliamo, del resto, delle due figure più integre e più ideali della pellicola,
coloro che hanno ben chiara la visione d’insieme e che riescono a vedere il bello anche laddove è così
piccolo e lontano che, per farlo, devi assolutamente farci caso: come nella scena in cui uno di loro riesce a
tranquillizzare una delle due ragazze, improvvisamente sconvolta dal pensiero di essersi trasformata in un
mostro.
Non è un unica luce, allora, quella accesa da Desplechin, ma sono tante, magari piccole, celate tutte intorno al buio della realtà che racconta. In un lavoro dove le suggestioni del genere ci sono tutte, comunque, rispettate rigorosamente ed esaltate da una regia misurata, elegante e influenzata
da echi di stampo vagamente hitchcockiano.
Trailer:
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