Ghostbusters: Legacy - La Recensione

Ghostbuster Legacy Poster

Di padre, in figlio. 
Di nonno, in nipote.

Questa volta si fa sul serio, non come cinque anni fa: quando il tentativo di rilanciare una saga come “Ghostbusters” avvalendosi di un cast tutto al femminile e di un taglio da commedia demenziale fallì miseramente, scatenando anche polemiche sterili tra vecchio e nuovo, toccabile e non. Questa volta è diverso, perché alla regia – innanzitutto – c’è Jason Reitman, il figlio di Ivan, ovvero l’uomo che diresse il film cult del 1984 e poi il sequel dell’89. E’ diverso perché la pellicola è dedicata a Harold Ramis: l’Egon Spengler della vecchia banda, scomparso sette anni fa, ma in qualche modo presente lo stesso, a causa di una sceneggiatura che punta sulla sua eredità per rilanciare la storia.

Insomma, alla fine hanno vinto i fan; ha vinto il fan-service, nonostante le premesse suggeriscano una volontà di partire dal sacro, per costruire lo stesso qualcosa di nuovo, di duraturo, capace di influenzare magari le generazioni di oggi, come fu per quelle di ieri. E quando ha inizio la storia, quando cominciamo a capire che i protagonisti di questo sequel saranno i nipoti di Egon Spengler e che, in quanto tali, sono praticamente dei nerd assoluti, consapevoli del loro status e per nulla preoccupati dall’emarginazione, le aspettative di trovarci di fronte a qualcosa di realmente buono, aumentano in maniera spropositata. Meglio ancora, quando la Phoebe di Mckenna Grace sale in cattedra, prendendo il timone e rivelando palesemente di essere la copia sputata del nonno: una copia dal carattere introverso, ma a suo modo divertente e vivace. Il primo tassello di una squadra di teenager che aspetta solo il via per mostrarsi integralmente ed entrare in azione, e che Reitman-figlio costruisce furbamente, andando a trafugare materiale – e non solo, vista la presenza di Finn Wolfhard – da un usato sicuro come quello di “Stranger Things”: intuendo le potenzialità di una commistione che oggettivamente fa il suo dovere.

Ghostbusters: Legacy 2021

La preoccupazione però è sempre una: l’eredità.
Croce e delizia. Agevolazione e peso. Perché, alla fine, questo “Ghostbusters: Legacy” avrebbe potuto fermarsi qui: prendere il cognome Spengler, giustificarne i geni e continuare sui suoi passi. Autonomo. Indipendente. E vista la scioltezza, la naturalezza con la quale si stava muovendo, sarebbe riuscito sicuramente ad arrivare al traguardo sano e salvo. Ma forse per paura di non essere accettato completamente, forse per puro affetto, o forse entrambe le cose, nel terzo atto sceglie di fare passi indietro e riallacciare i ponti col passato. Un passato che non si limita ai camei che ci saremmo aspettati e che, in fin dei conti, fanno sempre piacere, ma un passato che ricalca l’epilogo dell’originale, alterandolo con le regole dei blockbuster moderni: e quindi baracconate, caos e via dicendo. Un momento – l’unico? – nel quale la magia che si era riusciti a mettere in piedi d’improvviso cede e svanisce, guastando con sovraccarichi inutili un coming-of-age che già aveva abbondantemente reso grazie alle sue radici.

Aberrazione dettata dall'incertezza di chi, probabilmente, è chiamato a sfamare un target di riferimento – che rappresenta lo zoccolo duro del marchio – del quale non sa di preciso il livello di sazietà e soddisfazione. E per non sbagliare, quindi, eccede con le dosi, seguendo la teoria che more is better than less.
Il che, per alcuni, potrà pure funzionare, ma che per gli amanti del less is more, come il sottoscritto, rappresenta un gesto di autolesionismo gratuito e incomprensibile. 

Trailer:

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