Quello che viene a crearsi quando un carcere, in fase di chiusura, deve rinviare lo smantellamento totale
perché alcuni detenuti non possono raggiungere ancora la struttura alla quale erano designati.
Questione di tempo, promette la direttrice: che costringe un gruppo ristretto di agenti a restare di guardia per tenere sotto controllo la situazione, in attesa di aggiornamenti.
Un contesto fuori dall'ordinario e, in quanto tale, incapace di appellarsi a precedenti in grado di
migliorarne la gestione. Perché quando togli a una persona costretta a stare dietro le sbarre ogni attività,
ogni possibilità di visita e, come se non bastasse, la costringi anche a mangiare del cibo precotto, non
esattamente di qualità, allora ecco che le regole saltano, si indeboliscono, si sospendono, appunto. E in
questo carcere – delimitato a una piccola zona – succede proprio questo: di fronte all'impotenza di agenti e detenuti
che non possono far altro che rettificare, lentamente, i loro credo e le loro convinzioni. “Non si è mai
visto”, comincia a diventare l’apertura frequente di tante frasi e il conflitto passa inevitabilmente
dall'esser solo gerarchico a inglobare un gran bel pezzo d’umanità. E di fronte ad essa, si sa', ogni status tende ad
assottigliarsi, a scomparire, a prescindere da quanto divise, coscienze e mezzi a nostra disposizione possano illudersi di fare resistenza: che è un po’ quello che accade quando – per evitare la rivolta, minacciata
con lo sciopero della fame – l’agente in comando di Toni Servillo cede alla richiesta del pericoloso detenuto interpretato da Silvio Orlando, riaprendo la cucina e consentendogli almeno di preparare pasti decenti.
I loro botta e risposta, le provocazioni che si tirano (la maggior parte le fa Orlando e sono irresistibili), gli
sguardi che si danno e quelli che non si danno o che si tolgono. Attraverso di loro Leonardo Di Costanzo mette in piedi una
tensione dilatatissima, infinita, che in cuor nostro diamo per scontato dovrà esplodere, prima o poi,
sebbene la fase di studio sembri durare assai più del previsto. Così, mentre si resta sulle spine, in attesa di
quello scontro – classicissimo – tra buono e cattivo che tarda all'appuntamento (e al quale, onestamente, è macchinoso smettere di pensare), ci accorgiamo della bellezza che possono avere alcuni nodi una volta allentati: con guardie che si sforzano ad essere meno guardie e detenuti che cercano (simulano?) di controllarsi e seguire l’esempio. Ed è in queste pieghe che quel pezzo d’umanità va ad aumentare le sue
proporzioni, che la pellicola dimostra di avere dalla sua una scrittura eccellente, chirurgica, spiazzante: innalzando momenti
nei quali i preconcetti che abbiamo stampati in testa, inerenti a criminalità e a giustizia, vengono
temporaneamente accantonati, in favore della “cosa giusta da fare”.
Sospesi, insomma.
Come gli stereotipi e le retoriche in “Ariaferma”.
Sul quale magari è avventato affermare che abbia voglia di
imbastire un discorso per rimettere in discussione l’intero tema delle carceri, stuzzicandone una revisione, ma lo è meno tuttavia
immaginare che – pur involontariamente – qualche sassolino dalla scarpa cerchi di levarselo. Certo è che il
film di Di Costanzo non sbaglia neppure l'inserimento di una virgola e che il testa a testa semi-silenzioso tra Servillo e
Orlando valga da solo il prezzo del biglietto.
Trailer:
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