Scompartimento N.6 - La Recensione

Scompartimento N.6 Poster

Quando ho letto la trama di “Scompartimento N.6” sono stati due i rimandi che mi hanno incuriosito a tal punto da dire: “Ok, questo film lo voglio vedere! (a prescindere del Grand Prix Speciale della Giuria, vinto a Cannes!). 
Il primo, quello di una storia tra due sconosciuti che avrebbero imparato a scoprirsi, tra alti e bassi, attraverso un lunghissimo viaggio on-the-road. E il secondo che questo viaggio on-the-road si sarebbe svolto prevalentemente in treno: dettaglio che mi ha riportato subito allo splendido “Prima Dell’Alba” di Richard Linklater

E senza prendere alcuna toppa, aggiungerei. 
Perché con le dovute distanze e differenze – o sarebbe meglio dire coi dovuti rovesci – un pizzico di quel romance la pellicola del regista finlandese Juho Kuosmanen, se lo porta dietro e lo protegge fino in fondo: pur mettendo in piedi una storia che va da tutt’altra parte e adoperando toni assolutamente più freddi e meno accoglienti. Tra l’aspirante archeologa finlandese Laura – che sta andando a Murmansk per vedere i petroglifi, senza la sua compagna Irina ritiratasi all'ultimo minuto – e il ladruncolo russo, ubriaco e instabile Ljoha non è subito colpo di fulmine, infatti. Anzi, l’idea di condividere lo scompartimento di un viaggio lunghissimo con una persona così distante da lei, dal suo carattere e dalla sua timidezza la manda immediatamente fuori di testa, sollecitandola a rimboccarsi le maniche e a tentarne una dopo l’altra per trovare un’alternativa. Il destino – o chi per lui – tuttavia ha piani diversi per loro, e la convivenza tra i due – impossibile all’inizio – bloccata in questa sorta di prigionia, comincia a farsi lentamente più intrigante, accettata e sopportabile. Va detto che il merito è anche di Ljoha che dopo l’impatto pessimo col quale si presenta alla ragazza, lascia intravedere in forma del tutto casuale e inconsapevole degli sprazzi di tenerezza che lo rimettono in gioco, riabilitandolo quanto basta. 

Scompartimento N.6 Film

Ma ciò non è abbastanza per permettere a “Scompartimento N.6” di diventare un surrogato di quel film con Ethan Hawke e Julie Delpy che, non per colpa sua, alcuni di noi (io!) stavano aspettando. Casomai lo è per lasciare intendere definitivamente che non sarà quella la sua direzione. 
E allora ecco che, a dinamiche instaurate, questi due estremi apparenti provano a venirsi incontro, a camminare verso un centro: un centro che però non appena battezziamo possibile, o comunque più vicino, immediatamente prende e scappa via, mutando le sue coordinate. E non è questione di capricci, affatto, bensì di una costante scoperta di noi stessi che confonde e rimescola le carte: mettendo in discussione chi crediamo di essere (e di volere) attraverso uno specchio (quello della realtà) che ci mostra per quel che siamo veramente. E il percorso di quel treno, fatto di soste, di tappe, di momenti amari e di attimi divertenti, serve a Laura e a Ljoha per ribaltare le loro certezze, le loro mete e – perché no – i loro punti di vista. A rinunciare quindi all’azione logica calcolata, dettata dalla mente, per abbandonarsi e concedersi a quella istintiva, esortata dalla pancia (o dall’animale che portiamo dentro).

Un traguardo che va a premiare Kuosmanen, in particolare per come decide di schivare ogni comodità a sua disposizione, per realizzare un’opera orgogliosa di portare addosso i tratti, i tempi e la fisionomia che sono tipiche delle sue radici. In un film – tratto dal romanzo di Rosa Liksom – al quale ci si approccia con un briciolo di incertezza, forse, ma che – come per i suoi protagonisti – ripaga la fiducia restituendo un tiepido e dolce abbraccio di calore.

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