Dice questo dei gialli, il regista americano – e arrogante, e sfacciato, e donnaiolo – Leo Köpernick, chiamato a Londra per lavorare all’adattamento cinematografico dello spettacolo teatrale “Trappola Per Topi” di Agatha Christie. Li banalizza facendone una disamina generica, eppure accurata; ne evidenzia gli stereotipi, le caratteristiche principali che non possono mancare all’appello, come se volesse mettere un pizzico le mani avanti in merito a ciò che accadrà e che andremo a vedere.
Perché, di base, “Omicidio Nel West End” è più o meno questo: un giallo canonico che si sforza nei limiti del possibile di farsi anche atipico. Lo fa maggiormente nei toni, nell’atmosfera, che non è mai davvero tesa e cupa come vorrebbero e pretenderebbero i maestri del genere. Lo fa affidando il caso di un omicidio avvenuto dietro le quinte di un teatro ad un ispettore di polizia alcolizzato e depresso e a un’assistente-agente, inesperta e (ancora) ingenua: una che prende appunti e che ha bisogno di tener stampato in mente il suggerimento di “non saltare a conclusioni affrettate”. Più che la componente thriller, allora, è evidente che al regista Tom George – e allo sceneggiatore Mark Chappell – interessi esaltare il versante comico, il paradosso. Mettere alla prova l’acume dello spettatore esperto in materia per poi prenderlo in giro, confondergli le idee e mandarlo fuori strada. Un’operazione, insomma, che potrebbe essere figlia illegittima di “Cena Con Delitto: Knives Out”: con la differenza che Rian Johnson, lì, non rinunciava mai a creare dramma e tensione, pur stemperando entrambi alla bisogna, avvalendosi di una consapevolezza e una destrezza, non certo alla portata di tutti. E faceva così, probabilmente, per non rischiare di mancare l’identificazione con il vero giallo, quelli in cui la ricerca dell’assassino è cosa importante, ossessiva, e non paragonabile a una partita di Cluedo con gli amici, improvvisata dopo una bevuta: nella quale si scherza e si ride, mentre distrattamente, a turno, si tirano i dadi.
Una descrizione che coincide abbastanza col profilo tratteggiato – e voluto? – da George, invece.
Ma per quanto Sam Rockwell e Saoirse Ronan tentino di creare alchimia e di mettersi sulle spalle l’intera pellicola a colpi di battute, gag e parentesi nonsense, il non avere un interesse serio nei confronti della caccia al colpevole alla lunga finisce col pesare, con l’indebolire le potenzialità di una storia che resta incastrata tra ciò che poteva e ciò che aveva in mente di diventare. Una storia che si accontenta, forse troppo, di intrattenere distrattamente lo spettatore e di sedurlo attraverso lo humour (scarico) e la simpatia dei suoi personaggi; che si adagia troppo facilmente sulla superficialità della farsa cui è destinata, e nella quale, purtroppo, non va a guadagnare alcuna gloria.
Ma per quanto Sam Rockwell e Saoirse Ronan tentino di creare alchimia e di mettersi sulle spalle l’intera pellicola a colpi di battute, gag e parentesi nonsense, il non avere un interesse serio nei confronti della caccia al colpevole alla lunga finisce col pesare, con l’indebolire le potenzialità di una storia che resta incastrata tra ciò che poteva e ciò che aveva in mente di diventare. Una storia che si accontenta, forse troppo, di intrattenere distrattamente lo spettatore e di sedurlo attraverso lo humour (scarico) e la simpatia dei suoi personaggi; che si adagia troppo facilmente sulla superficialità della farsa cui è destinata, e nella quale, purtroppo, non va a guadagnare alcuna gloria.
Nemmeno quella di poter contare su un colpo di scena – una presenza – che meritava di guadagnare sviluppo e scrittura (a supporto) migliori.
Quindi, quel “visto uno, visti tutti” all’improvviso cambia di significato.
Da traguardo da evitare che era, si trasforma in un traguardo accettabile, o che a “Omicidio Nel West End” perlomeno avrebbe fatto comodo. Perché va benissimo distinguersi e sperimentare (e fallire), ma guai a dimenticare i capisaldi dell’archetipo che si vuole maneggiare.
Sia esso giallo, commedia, oppure entrambi.
Trailer:
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