Era Ora - La Recensione

Era Ora Poster Film

Prende in prestito la storia della commedia romantica australiana “Long Short Story” (uscita in sordina da noi col titolo “Come Se Non Ci Fosse Un Domani”), Alessandro Aronadio.
Pellicola che a sua volta aveva preso in prestito l’archetipo di “Ricomincio Da Capo”, rivisitandolo con un pizzico di originalità per costringere il protagonista a svegliarsi ogni giorno avanti di un anno, anziché fargli rivivere in loop le (solite) ultime 24 ore.
Ma cosa cambia in termini narrativi?

La risposta è: tutto, ma pure niente.
Tutto perché tale espediente, permette ad Aronadio di poter ragionare non solo sul comportamento e sulle sviste del protagonista – Edoardo Leo – ma pure sul tempo: quello che passa, che non riusciamo a dominare, che ci sfugge e che vola. Niente perché, in fin dei conti, sappiamo che per fermare questa maledizione, per interrompere il salto avanti nel tempo, sarà sempre necessario che la vittima - in questo caso - si guardi dentro ed impari ad raddrizzare il tiro: che si renda conto, quindi, dei propri errori e si rimbocchi le maniche per correggerli. L’efficacia, allora, (ed il risalto) di un remake come “Era Ora” stava interamente su come il suo regista avrebbe gestito questi due poli. Alternando la parte più leggera e divertente a quella più filosofica e, se vogliamo, contemporanea. Perché non è un mistero che quello del lavoro che ci assorbe e ci risucchia – come capita al Dante di Leo: che vuole sacrificare affetti e famiglia, lavorando come un dannato fino a cinquant’anni, per poi godersi la discesa del benessere accumulato – sia un tema caldo, un tema universale, sul quale persino la politica, ultimamente, ha provato a ostentare (o a fingere) delle riflessioni.

Era Ora Aronadio

Un tema che però non spetta ad Aronadio mettersi, qui, a risolvere.
E ce lo fa capire subito, in realtà, che a lui quell’aspetto serve unicamente come pretesto, come gancio per fare, poi, quello che in effetti è il suo lavoro: intrattenere.
Tant’è che “Era Ora” funziona decisamente meglio quando può viaggiare a briglia scolta, quando Dante deve vedersela coi cambiamenti del giorno dopo che per lui sono grandi come quelli di un anno. Quando la compagna – una bravissima Barbara Ronchi, che il cinema italiano sta scoprendo (e valorizzando) troppo tardi – gli mette in mano una figlia di cui non sa né il sesso e né il nome – Galadriel! – e lui cerca di reagire confuso e impacciato a una quotidianità che sembra più simile a uno scherzo. Ma non lo è, uno scherzo. E per capirlo, interiorizzarlo e affrontarlo, di risvegli glie ne serviranno tanti, troppi. Risvegli che nella sceneggiatura derivativa di Aronadio hanno un prezzo decisamente più caro per il protagonista, rispetto a quelli presenti nella versione-madre, scritta da Josh Lawson: che, in confronto a questa, terminava respingendo e cancellando qualunque punta di amarezza.

La vita è adesso, cantava Baglioni.
E, alla fine, è pure il messaggio inviato con urgenza da "Era Ora" (e affidato al santone di Raz Degan).
Parole semplici, dirette e che, forse per questo, tendiamo spesso a perdere di vista. A dimenticare.
Finché arriva un giorno, in cui svegliandoci, non cominciamo a guardare indietro e a contare i rimpianti.

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