Glass Onion - La Recensione

Glass Onion Poster

Personalmente ho un debole per il cinema giallo.
Anzi, a dire il vero il debole ce l’ho per il mistery: per tutto ciò che è sconosciuto, bizzarro, inspiegabile e quindi potenzialmente agghiacciante.
Per cui, quando Rian Johnson ha annunciato che avrebbe realizzato un nuovo capitolo dedicato al detective Benoît Blanc di Daniel Craig, non dico che ho esultato, ma comunque ero contento.
E non perché “Knives Out: Cena Con Delitto” fosse chissà quale capolavoro, ma perché nella banalità generale era sicuramente lo sforzo più apprezzabile sul whodunit, visto al cinema di recente.

Checché se ne dica, infatti, considero Johnson un ottimo sceneggiatore, prima ancora che un bravissimo regista. Uno che nella scrittura ama sperimentare, rischiare e che – al contrario di altri suoi colleghi – non si accontenta di intercettare i gusti degli spettatori per poi mettergli davanti la solita minestra riscaldata. Non c’è da stupirsi, allora, se questo “Glass Onion” col precedente non vuole c’entrare praticamente nulla, e, tolto l’uomo chiamato ad investigare, è un film a sé. Un film che guarda ancora – e giustamente – ai classici riferimenti di Agatha Christie, Arthur Conan Doyle e compagnia bella, ma che mantiene però l’atteggiamento leggero e pungente (e impulsivo) di chi non ama e non ha voglia di prendersi troppo sul serio. L’obiettivo è sempre quello di stupire, di replicare – o superare – il successo già raccolto, eppure la sfida è quella di riuscirci senza il bisogno di ricalcare la vecchia formula vincente. Cambia tutto, quindi, Johnson: e stavolta non apre con un omicidio, ma con l’invito – macchinoso da scartare – ad una festa privata, organizzata dal multimiliardario di Edward Noton (che è un po’ un surrogato di Zuckerberg, Musk e simili). Un tranquillo week-end da trascorrere sulla sua isola personale, rilassandosi e giocando a una sorta di Cluedo dal vivo, dove gli ospiti devono scoprire chi ha ucciso il padrone di casa e perché. Tutto per finta, ovviamente, se non fosse che il clima si fa presto tesissimo e le presenze – in primis proprio quella equivoca di Blanc – lascino temere che qualcosa andrà inevitabilmente storto.

Glass Onion Rian Johnson

Cipolla di vetro, come suggerisce il titolo, o scatola cinese che possa sembrare, “Glass Onion” è esattamente ciò che promette, dunque. Due ore abbondanti di intrighi, colpi di scena e divertimento, capaci di esaltare le doti dello splendido cast a disposizione e di flirtare spudoratamente con l’intelletto di noi spettatori. Concepito a strati, l’unico modo per stargli al passo e non farsi cogliere impreparati, è quello di diffidare dalle apparenze, fare attenzione ad ogni ambiguità e dubitare costantemente di cosa è nascosto sotto la sua superficie. Il che dovrebbe essere la regola quando si ha a che fare con personalità come influencer, nerd arricchiti dalla tecnologia e politici chiamati a difendersi nel mezzo. Sono loro le pedine che Johnson - per ragioni specifiche? per passatempo? - decide di mettere sulla scacchiera; intorno alle quali va a tessere, scaltrissimo, una ragnatela che appare complicata solo se vista da una angolazione sola: perché non appena i flashback cominciano ad aumentarne lo spessore e a scioglierne i nodi, ad emergere è una semplicità pazzesca volta a colpire, precisamente, il target che, ad oggi, tende a rappresentare i pericoli maggiori.

L’assassino è il maggiordomo, direbbe qualcuno.
Assolutamente no, in questo caso (per carità, no spoiler!).
Tuttavia, in quella che è una pellicola la cui mission principale è intrattenere, la libertà di qualche stilettata Johnson se la fa scappare lo stesso.
Che tanto, poi, chi vuole cogliere, coglierà.
Certo è, che tutti quanti già non vediamo l’ora di ritrovare Blanc nella sua prossima avventura (che ci sarà).

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