Thunderbolts* - La Recensione

Thunderbolts Poster

Il Marvel Cinematic Universe è collassato.
Su questa affermazione, mi auguro, non ci siano obiezioni, perché se qualcuno è convinto davvero che possa esserci ancora speranza per risollevarne le sorti, allora, il problema sarebbe addirittura più grave (ma, forse, lo è, visto come stanno andando le cose).
Chiaramente questa consapevolezza è figlia delle numerose scelte sbagliate compiute negli ultimi anni, di cui “Thunderbolts*”, purtroppo, è solo l’ennesima vittima, chiamata in causa per allungare un lenzuolo narrativo che ormai contiene più buchi e più toppe, che stoffa.

Vedere un film Marvel oggi, significa dover rimanere aggrappati di continuo alla sospensione dell’incredulità e, ovviamente, non faccio riferimento al fatto che “I supereroi non esistono e bla, bla, bla!”, ma al motivo per cui, proprio perché accettiamo che esistano, e che ce ne sono a secchiate ovunque, sarebbe giusto vederli in giro non appena qualche nemico decida di far crollare a pezzi un’intera città. Ma, a quanto pare, non è così. A quanto pare, gli Avengers si sono sciolti, e se gli Avengers si sciolgono non c’è nulla che possa convincerli a tornare insieme (o in assolo), nemmeno il buon esempio di band musicali come I Pooh, che pure ogni tanto decidono di rivedersi e di organizzare un concerto in onore dei vecchi tempi. Insomma, dell’esercito che avevamo visto combattere contro Thanos non c’è più nessuno, tra morti (unici assenti giustificati), pensionati e menefreghisti totali, l’unico a non aver trovato nient’altro da fare sembra essere Bucky, il Soldato d’Inverno, che – dal poco che sono riuscito a capire – ha tentato la carriera politica, ma senza alcun trionfo degno di nota. Un perdente, quindi, così come la Yelena di Florence Pugh, l’Alexei di David Harbour, la Ghost di Hannah John-Kamen e il Captain America del Todis di Wyatt Russell. Un manipolo di mercenari, costretti per cause di forza maggiore – il Capo della CIA li vuole far fuori per eliminare prove che potrebbero incriminarla – a fare squadra e a fidarsi l'uno dell'altro.

Thunderbolts Pugh

E, allora, te lo vedi un po’ all’acqua di rose questo “Thunderbolts*”, scuotendo la testa dopo l’ennesima trovata di sceneggiatura discutibile e facendoti quattro risate quando ti viene presentato Bob, il villain di turno – che poi proprio un villain non è – che pare la copia d’orata del Superman della DC Comics, con l’unica differenza che lui è veramente invulnerabile, inattaccabile e invincibile. E non c’è kryptonite o surrogato che tenga, se non un telecomando con sopra un tasto rosso che quando lo premi lui si spegne e cade a terra come una pera cotta (really!). Del resto, era l’unico modo per rendere un pelo interessante una trama che altrimenti non avrebbe avuto più niente da dire e che, continuando, intende riprendere l’argomento della depressione dichiarata da Yelena nel prologo per affrontarla metaforicamente in un terzo atto giocato tutto dentro il piano psicologico di Bob che, pure, deve fare i conti con un passato dolorosissimo e una solitudine dalle conseguenze autodistruttive.
Il solito blocco serio - stavolta cupissimo - messo a forza dentro un genere che sta affossando proprio per colpa di una leggerezza che, di volta in volta, viene a mancare. E vabbè!

Diventa così un origin story la pellicola, il cui reale titolo viene svelato esclusivamente durante i titoli di coda, riagganciandosi a quell’asterisco che – lo avevamo intuito – voleva esprimere qualcosa e avere un significato (pesante?). Eppure, il colpo di teatro funziona a metà (se non zero), nel senso che – telefonato o meno – ciò che diventa questa famiglia allargata di (ex)perdenti, per quanto simpatica e bizzarra che sia, è comunque insufficiente per rimescolare credibilità, curiosità e voglia nei confronti di un universo che dà l’impressione di raschiare il fondo del barile, rifiutando la verità.
La stessa sulla quale avevamo già detto di essere tutti d’accordo, se non vado errato.

Trailer:

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