I Segreti di Osage County - La Recensione

La costruzione di una sceneggiatura solida, che sappia innalzare livelli di drammaticità elevati e allo stesso tempo colpire anche duro lo stomaco è, secondo molti, la ricetta perfetta cercata e seguita da chiunque abbia intenzione di fare un cinema dal carattere marcato e permanente. Esiste però un confine labilissimo che se ignorato rischia di far crollare a terra l'intero castello di carte e questo confine è rappresentato dalla differenza che nasce tra il concetto di costruzione e il concetto di calcolo.

La costruzione è un processo che può risultare più o meno forzato a seconda di chi la gestisce mentre invece il calcolo, per sua natura, è imprescindibilmente un processo di tipo matematico. Il calcolo è studiato al millimetro, previsto, strutturato, annulla la verità - seppur di finzione - a favore della meccanicità del suo algoritmo e il risultato che genera non può altro che diventare simile a quello di una fredda perfezione priva di suggestioni.
Per capire meglio il concetto, volendo passare dalla teoria alla pratica, è sufficiente dare uno sguardo all'operazione che ha portato la piéce teatrale "I Segreti di Osage County" di Tracy Letts al cinema, un'operazione dove il calcolo risiede non solo alla base ma è spina dorsale e motore di ogni battito di ciglia. Nella sceneggiatura adattata da Letts stesso infatti è presente il più alto tasso di scene madri che una pellicola abbia mai contenuto e sia in grado di sostenere, in ogni frazione, in ogni singolo attimo, sono innescati assist e monologhi interpretativi che servono a catturare l'attenzione e a sbattere energicamente in alto una storia mai spontanea e che, raccontata naturalmente, non avrebbe contenuto altro che svariate sottotrame drammatiche per nulla originali.

Furbescamente John Wells si adegua al contesto e tenta di coprire al meglio possibile le stonature forzate del suo spartito, armonizza con discreta regia e inquadrature scelte i passaggi e le discussioni - alcune ficcanti altre molto meno - che a rotazione implacabile passano sullo schermo ravvivando e solleticando (non sempre in positivo) resistenza e pazienza dello spettatore. A capitanarle una Meryl Streep brava ma non eccelsa, spesso sopra le righe, abbandonata a sé stessa nel corpo di un personaggio con problemi di dipendenza da farmaci che richiedeva sicuramente maggior addomesticazione e meno libertà di sfogo. Fortunatamente a bilanciare lei e le sue sfuriate una Julia Roberts molto meno in luce del previsto ma per questo assolutamente più incisiva e abile ad autogestirsi, chiamata a compiere un lavoro di sottrazione che gli concede di mettere il segno senza né lesinare e né eccedere fastidiosamente.

Seppur con fatica resiste piuttosto bene quindi Wells e, aiutandosi con l'ironia nera e il cinismo grezzo dei dialoghi a disposizione e con forzature e stereotipi messi a fare da cuscinetto, evita alla sua pellicola di piegarsi irrimediabilmente, riuscendo addirittura, nel finale, a pescare una scena madre ben costruita e inserita con tempi esatti abbastanza da suscitare tenui stimoli di emozione ormai insperati. Ciò non ripara le evidenti spaccature create durante il percorso ma gli concede quantomeno il lusso - perché solo di lusso si può parlare - di scatenare un brivido vero nel caos della falsità generale. Un percettibile inaspettato sussulto, che però serve, forse, solo a far rimpiangere ulteriormente lo scoppio mancato di uno scontro familiare e generazionale dall'aspetto più ipocrita che sincero.

Trailer:

Commenti

  1. non ho ancora visto il film, ma sto leggendo il testo originale e sono d'accordo sul fatto che August Osage County appartenga a quel tipo di cinema che fa della costruzione la sua prima ragion d'essere e si nutre essenzialmente delle performance dei suoi attori. D'altronde è tratto da un'opera teatrale, come potrebbe essere altrimenti? Non so se riuscirà a rompere la barriera e ad andare oltre l'artificio, ma sono molto fiduciosa.

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