Presence - La Recensione

Presence Poster

La panoramica della bellissima casa (ancora) disabitata con cui Steven Soderbergh apre il suo "Presence", non sta li a (rap)presentare (solo) la location (unica) del suo film. Quell'esplorare le stanze, scendere le scale e osservare gli ambienti, infatti, serve ad informare noi spettatori di una cosa molto importante, ovvero che i movimenti di quella camera rappresentano, in realtà, un punto di vista, e nello specifico il punto di vista di un fantasma. Il fantasma con cui, a breve, la famiglia che si trasferirà li dovrà avere a che fare.

Passano pochi istanti, allora, e quelle mura cominciano a prendere colore, a ricevere arredamento, ad essere invase da queste quattro persone - i Paynes - che sembrano sia disturbare la quiete solitaria che fare compagnia alla presenza del titolo. Con un'attenzione particolare che viene riservata a Chloe, la figlia adolescente, colpevole, forse, di aver occupato la stanza preferita (?) dal fantasma e quindi costretta a vivere sotto il suo permanente occhio. Eppure, nulla è casuale, nemmeno le continue litigate tra moglie e marito, per via di un trauma subito dalla figlia che la madre continua a sottovalutare, concentrandosi unicamente su Tyler, il fratello maggiore, stella del nuoto e pupillo indiscusso. Uno squilibrio famigliare che viene allargato dal grave illecito che, stando a certi discorsi, sempre lei pare aver commesso a lavoro e che adesso rischia di venire a galla. Piccoli pezzi (privati) di quotidianità che riusciamo carpire attraverso i mini-piani-sequenza che Soderbergh ci mostra. Frammenti di vita della sua presenza che intanto prende nota degli ospiti, li spia, a volte reagendo emotivamente agli eventi, ma che di rado intende "mostrare" sé stessa. E quando lo fa, l'impressione è che non sia mai sottoforma di minaccia, che non voglia far del male a nessuno, al massimo aiutare: che non significa solo ordinare dei libri lasciati in disordine da Chloe, ma pure mettere a soqquadro la stanza di Tyler quando lo sente raccontare a tavola di un brutto scherzo fatto a una sua compagna di liceo.

Presence Soderbergh

Una scena da far accapponare la pelle, specie per come viene costruita e per come cambia radicalmente la direzione ed il ritmo del film. Perché Soderbergh - che è uno dei più bravi registi in circolazione, è bene ricordarlo - è un maestro a gestire la tensione e il mistero della sua storia, a dare seguito all'interrogativo fondamentale del suo sceneggiatore - altrettanto bravissimo - David Koepp, secondo cui in ogni ghost story che si rispetti, il fantasma deve avere una buona ragione per infestare la casa. E il fantasma di "Presence" ce l'ha eccome, una buona ragione, ma noi lo scopriremo esclusivamente nell'ultima scena, quella che ci fa venire i brividi, che fa esplodere il cervello e dopo la quale cominceremo a ripensare diversamente a tutto ciò che abbiamo visto. E sarà parecchio, visto che da quando la presenza del fantasma diverrà ben nota agli abitanti della casa, l'entrata in scena di una sensitiva e di un amico di Tyler, sentimentalmente legato a Chloe, porteranno gli eventi laddove nessuno di noi avrebbe potuto immaginare. Riprendendo e chiudendo sottotrame (peraltro attualissime) seminate in precedenza e cambiando (e ampliando) i generi di riferimento di un prodotto che, inevitabilmente, si fa esperienza visiva magnifica ed elettrizzante.

Lo realizziamo mentre scorrono i titoli di coda, quando la pelle d'oca non ne vuol sapere di andare via e le riflessioni sui misteri vanno di pari passo a una suggestione che rischia di allontanarci il sonno. O, perlomeno, è ciò che ho temuto io mentre, rabbrividendo, mi rendevo conto che si lì a poco sarei dovuto andare a dormire. E mentre spegnevo le luci, rimuginavo sulla teoria di Koepp, augurandomi che nessun rumore, nessuna strana visione, o chissà cosa, alimentasse ulteriormente l'idea che un'entità soprannaturale stesse li, inerme, a farmi compagnia.

Trailer:

Commenti