Quando partono i titoli di coda di "Miller's Girl" l'occhio - vabbè, il mio - cade inevitabilmente su due nomi, in particolare: quello di Seth Rogen e quello di Evan Goldberg (entrambi come produttori).
Due nomi che potreste rileggere nel caso facciate attenzione ad altri titoli di coda: quelli di "The Boys", per esempio (sempre produttori). Ma pure - tornando indietro - in quelli di "Superbad", "This Is The End", "The Interview", "Preacher", "Sausage Party" e via dicendo (qui in ruoli misti).
Film (e serie tv) che in un modo o nell'altro, hanno puntato a oltrepassare determinati limiti, a osare e, in certi frangenti, anche provocare. Per cui non credo ci sia troppo da stupirsi se di "Miller's Girl" si sia parlato quasi ed esclusivamente per via di una scena che vede il professore di Martin Freeman cedere al fascino e alla sensualità della sua studentessa, appena maggiorenne, impersonata da Jenna Ortega. Una scena fugace, rapidissima (e nemmeno reale) che mostra nulla e lascia molto spazio alla (nostra) fantasia (erotica).
Chiamatelo perbenismo, chiamatelo effetto collaterale della cultura woke - responsabile ormai di numerosi danni e pochi benefici - sta di fatto che il paradosso è che "Miller's Girl" la sua shitstorm l'aveva già prevista, assimilata (sperata?). Se non addirittura costruita appositamente. O perlomeno, questa è la sensazione che si percepisce durante la visione. Perché sotto le pieghe di una storia che racconta, appunto, di una studentessa, aspirante (e talentuosa) scrittrice, che si invaghisce del suo professore di scrittura creativa, sposato e da tempo alle prese con un blocco che gli ha impedito di continuare a pubblicare, c'è quella della donna (non solo il personaggio di Ortega) consapevole della sua bellezza e del potere che tramite questa può esercitare nei confronti dell'uomo. Un potere cosi grande da diventare praticamente manipolatorio. Non solo nei confronti della vittima, ma di una società intera. Specialmente se la società è quella di oggi. E, allora, anziché guardare (e indignarsi) a una trama che per quanto possa infastidire non ha nulla di particolarmente forzato e inverosimile, bisognerebbe concentrarsi e fare chiarezza sulle reazioni di chi punta il dito, accusando e sbracciando, senza provare a fare alcun tipo di ragionamento.
Del resto, è vero, in questo thriller-erotico(?) scritto e diretto da Jade Halley Bartlett c'è una parte di materiale che potremmo considerare piuttosto classico, prevedibile, che va di pari passo con il genere di riferimento. C'è la dinamica moglie di successo, marito insoddisfatto. Quella della ragazzina emarginata alla ricerca di attenzioni. Le conseguenze che certi elementi possono portare se amalgamati all'interno di un quotidiano che comincia, quindi, a metterti alla prova, a tentarti e persino a eccitare con fantasie legate alla letteratura (a determinata letteratura), alle lusinghe o all'immaginazione. Eppure, il rimbombo più assordante di "Miller's Girl", quello pronto a scatenare i suoi haters, sembra arrivare proprio dalla direzione che decide di prendere nel finale, dalla vendetta messa in atto dalla Cairo Sweet di Ortega nei confronti del suo professore, che preferisce salvaguardare il suo (imperfetto) matrimonio, trattenendo l'istinto e la passione. Arriva da un piano - che va a segno- che ci obbliga a riconsiderare (o a considerare una volta per tutte) quella gestione sbilanciatissima e superficiale con cui abbiamo deciso di voler affrontare delicatissimi argomenti, sacrificando la ricerca della verità (lo stato di diritto) per accelerare punizioni e lavaggi di coscienze. Giocando, perciò, con la vita delle persone, infischiandosene delle conseguenze.
E il film di Bartlett accende una luce su questo drammatico corto circuito, e lo fa con un approccio che è sia terribile, sia ironico. Sia reale che fittizio. Perché viste da un punto di vista pragmatico, le conseguenze che paga il Miller di Freeman per i suoi comportamenti sono spaventose, violentissime. Se però ci mettiamo a guardarle prendendo in esame la sua ultima scena, beh, in quel caso, la gogna subita si ridimensiona, si addolcisce, tramutandosi in una sorta di liberazione e di rinascita.
Ma siamo dalle parti della fantasia, qui, della scrittura creativa, del ghigno tipico di due personalità come Rogen e come Goldberg. Due che sicuramente sono abbastanza intelligenti da saper scindere gli azzardi (pesanti) che la pellicola - volente o nolente - solleva, dalle estremizzazioni di cui, invece, non può (o non possono loro) fare a meno.
Trailer:
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