Quella che Ron Howard racconta in "Eden" è una storia vera.
Una storia vera portata sullo schermo attraverso i libri scritti da Dora Strauch-Ritter e da Margret Wittmer, due donne che quell'esperienza lì l'hanno vissuta in prima persona e che qui rivediamo attraverso le interpretazioni di - rispettivamente - Vanessa Kirby e Sydney Sweeney. Eppure, le versioni da loro pubblicate in merito agli eventi accaduti non sono identiche. Così come non sono neppure complementari, anzi, contrastano terribilmente. Per cui sia Howard che lo sceneggiatore Noah Pink hanno dovuto eseguire anche, e principalmente, l'esecuzione di una scrematura che andasse a scegliere ciò che, secondo loro, fosse maggiormente credibile, o verosimile, assemblando una ricostruzione dei fatti che, comunque, resta ancora ipotetica.
Ma non è importante.
E non lo è perché, in realtà, cambia poco sapere chi ha premuto davvero il grilletto, piuttosto chi ha usato la lama. Cosi come è relativo conoscere chi si è macchiato dell'omicidio di Tizio e chi, invece, di quello di Caio. Quello che ci interessa, alla fine, è osservare l'esperimento (sociale), conoscere gli ideali (filosofici) di partenza, scorgere le dinamiche che li hanno fatti deragliare e tirare le somme rispetto a una verità che, per quanto banale possa sembrare, se vista a posteriori, non viene ancora considerata unica e assoluta. Perché "Eden" parla di questo Dr. Friedrich Ritter - interpretato da Jude Law - che si ritira sull'isola di Floreana, nelle Galapagos, con sua moglie Dora, per fuggire dai valori corrotti e dalla sete di violenza che sta infettando l'Europa intera. Il periodo è quello post-Guerra Mondiale, il 1929, e la sua intenzione è quella di isolarsi completamente per buttare giù un manifesto (salvifico) nel quale sono contenuti i principi fondamentali utili a far sì che una civiltà possa prosperare, crescere ed evolversi in forma pacifica, equilibrata, sana. Tutto molto bello, tutto molto stimolante. A parole, però. Perché quando le lettere che Ritter spedisce periodicamente, per aggiornare sui suoi progressi, cominciano a girare e ad essere pubblicate sui giornali, il suo stile di vita viene preso a modello e inseguito da qualcuno che intende raggiungerlo per emularlo e, magari, fargli compagnia. Una compagnia che, nella pratica, il dottore respinge a prescindere, mettendo in atto brutti scherzi e giochi psicologici del quale non è unico conoscitore.
E, allora, ecco che la pellicola di Howard mette in piedi un ponte che va a collegarsi col (nostro) presente. A dire il vero, era bastata la battuta di Law sulle democrazie che portano al fascismo, il quale poi porta alle guerre e dalle cui macerie la democrazia rinasce, a far scattare la scintilla. Parlandone come di un circolo vizioso inarrestabile, logico, eterno. Ma il discorso è destinato ad ampliarsi, a mostrare quanto la sete di potere, di dominio su un territorio, possa infettare persino le menti più pure, più geniali, corrompendole fino a renderle praticamente irriconoscibili (persino ai loro cari). Succede a ognuno dei personaggi di "Eden", nessuno escluso: sia a quelli scaltri per natura, a cui viene spontaneo calpestare e passare sopra alle altre esistenze, e sia a quelli meno inclini al contrasto, allo scontro. E, qui, ogni riferimento alla Margret della Sweeney non è affatto casuale: il suo arco narrativo la rende, a tutti gli effetti, la protagonista indiscussa - e occultata - della storia, come certificheranno le foto che vedremo scorrere poi durante i titoli di coda.
Possiamo illuderci quanto ci pare e piace, insomma, ma l'indole che ci rappresenta è la stessa di quei cani che abbaiano e che ringhiano, non appena sentono minacciato il loro territorio. Le belle parole - di Ritter - restano tali: piacevoli da sentire, a volte stimolanti, ma fragili abbastanza da venir spazzate via (e tradite) con l'arrivo di una semplice folata di vento. La bellezza di "Eden", quindi, non sta tanto nell'essere un survival-thriller, peraltro rispettabilissimo e per nulla spiacevole, quanto nel suo comparto filosofico e sociale che mostra questi topi da laboratorio comportarsi come nel mondo reale stanno facendo la maggior parte delle loro versioni più autentiche, dimostrandoci che il tempo e il progresso sono elementi superficiali, che l'istinto dell'uomo è inflessibile e che il circolo vizioso di cui parlava Ritter, probabilmente, è il testo più lucido e granitico partorito dalla sua mente.
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