Ci tiene a specificarlo, Valerio Mastandrea, “Nonostante” è una storia d’amore.
E lo è nonostante – scusate il gioco di parole – tutto ciò che lo circonda, e che inevitabilmente va poi considerato e incluso nell’insieme. Perché, forse, sarebbe più giusto dire che “Nonostante” nasce come una storia d’amore, ma poi – come non di rado accade quando si scrive un film – la sua direzione cambia leggermente, al punto da rischiare di mettere quel suo intento principale, se non in secondo piano, almeno in parallelo ad un altro. Perché più del legame forte e vitale che unisce il personaggio di Mastandrea – che qui co-scrive con Enrico Audenino, dirige e interpreta – a quello di Dolores Fonzi, a emergere durante il racconto è la paura di un uomo che non trova il coraggio di saltare, di buttarsi, che fatica a contenere e a gestire la propria sensibilità e, quindi, anche le cose belle della vita. Un uomo che nella sua condizione spera di battere ogni record, e che nel limbo in cui è accidentalmente caduto ci sta benissimo, a suo agio, e lo capiamo da come, nella prima scena, rientra dal cortile dell’ospedale fin dentro la sua stanza da letto. E a questo punto, probabilmente, vale la pena specificare e dire che “Nonostante” racconta la storia di queste anime in coma che, in attesa di capire se i loro corpi si risveglieranno, o trapasseranno, vagano invisibili sulla terra, passando il tempo tra loro e discutendo del più e del meno. Una convenzione che tende subito a trascendere, a rivelarsi metafora di chiunque è incline a vivere fuggendo, a mettersi al riparo da responsabilità e da quei vortici emozionali che nel bene, o nel male spesso percepiamo come più grandi di noi, difficili da gestire, destabilizzanti.
E, allora, la storia d’amore funge un po’ da terremoto in “Nonostante” e diventa un mezzo, più che un fine. La scossa che serve al personaggio di Mastandrea – che non ha nome, così come non ce l’ha nessuno dei pazienti in attesa – per metterlo in lotta con sé stesso e sollecitarlo all’azione, al movimento, perché non esiste forza migliore per dare inizio a un cambiamento. L’agitazione incomprensibile della donna con la quale va in contrasto dopo aver perduto la sua stanza singola – che, di fatto, gli costa un pezzo della sua comfort-zone – per lui diventa motivo di interrogativi, di riflessioni e origine di un percorso intimo e silenzioso con il quale tornare ad ascoltare il proprio corpo, aprirsi: non importa come, se timidamente, o impacciatamente. E sotto il piano registico Mastandrea è attentissimo (troppo?) ad affrontare questo processo, a non eccedere mai con le parole, a equilibrare la drammaticità delle scene, lavorando spesso in sottrazione ed evitando trappole che potrebbero farlo cadere nella retorica o nel didascalico.
Lascia a noi pubblico il compito di fare quel passettino in più, chiudere l’imbeccata, interpretare il messaggio. E pure se la sensazione è che ci sia stato qualche taglio di troppo in fase di montaggio – specie nel terzo atto, nell’approfondire il rapporto sentimentale – e che in questo caso sarebbe stato meglio evitarlo, “Nonostante” resta comunque un’opera da non sottovalutare, che fa bene al nostro cinema per il coraggio con cui evita ogni genere di scorciatoia e per i delicatissimi argomenti di cui, in forma quasi fiabesca, intende farsi carico.
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