Il Diritto Di Uccidere - La Recensione

Eye In The Sky Poster
In originale era “Eye In The Sky”, occhio nel cielo. Molto più appropriato rispetto a “Il Diritto Di Uccidere”, nostra rivisitazione assai meno centrata e chiara. L’occhio del titolo si riferisce infatti ai droni con cui oggi vengono combattute le guerre. Droni capaci di mettere a fuoco volti, luoghi e di muoversi lungo un intero paese senza il bisogno di portare un completo esercito sul campo di battaglia. Al massimo ci si può affidare ad un paio di uomini infiltrati, pronti a intervenire in caso di emergenza, sebbene a comandare la situazione siano comunque coloro che, chiusi dentro stanze lontane miglia e miglia, prendono decisioni, comunicando ad un altro paio di soldati, chiusi dentro stanze lontane miglia e miglia anche loro, di premere un tasto del joystick ed eliminare l’obiettivo.

Ce lo aveva fatto sapere già Andrew Niccol nel suo “Good Kill” che le cose erano cambiate, che ormai la guerra era come un videogame da giocare a casa, un videogame che poteva far molto male sia a chi finiva per esserne protagonista e sia a chi decideva di mettersi seduto a giocare. La stessa precisione e messa a fuoco individuata da Gavin Hood però nel suo lavoro non era presente, sarà per via del punto di vista sbagliato, probabilmente, perché come “Il Diritto Di Uccidere” dimostra, a far la differenza, adesso, non è tanto chi preme il grilletto (o il tasto) ed uccide assassini e innocenti ricavandone shock e dolore – anzi, quella, forse, è l’unica costante ad essere rimasta invariata - a far la differenza ora è il modus operandi con cui la decisione di colpire viene presa, spesso giocando a scarica barile con la responsabilità e valutando attraverso stime ipotetiche quanto potrebbero andare a pesare, in seguito, eventuali ripercussioni politiche e giuridiche. Ecco allora come mai a rubare la scena al povero esecutore interpretato da Aaron Paul, troviamo una Helen Mirren colonnello inglese severo e distaccato insieme a un Alan Rickman (qui alla sua ultima interpretazione) a cui spetta il compito di fornire il veto finale sul da farsi dopo aver consultato tutti i vari superiori e capi, inglesi e americani.
L’argomento in questione è se uccidere o meno tre terroristi presenti sulla lista nera del governo britannico (e non solo, a quanto pare) con la quasi certezza di colpire (a morte) collateralmente una bambina innocente, oppure fermarsi e rischiare che, come visto dalle telecamere nascoste, questi diano vita ad un potenziale attentato nel centro abitato di Nairobi, in Kenya, con stime di almeno ottanta morti (bambini innocenti compresi).

Alan Rickman Eye In The SkyMantiene alta e stabile la tensione pur non avendo (quasi) mai scene d’azione vere e proprie a cui potersi appoggiare, “Il Diritto Di Uccidere”. La macchina da presa si divide costantemente tra i vari interni delle stanze catturando parole, teorie e decisioni di figure che si susseguono una dopo l’altra, mordendosi la coda, nell'attesa infinita di un via libera risolutivo che tarda a venir fuori e che nessuno ha intenzione di pronunciare a cuor leggero. Fa davvero strano rendersi conto di come Hood riesca a non far cadere a terra un’impalcatura apparentemente così fragile con il solo uso delle immagini e la stimolazione dei nervi. Ma in effetti a sostenere il suo thriller c’è anche altro, ovvero quei ragionamenti macchinosi, morali, a volte subdoli, che vengono tirati fuori pur di velocizzare la manovra e compiere “ciò che va fatto”. Ragionamenti nei quali, indirettamente, finiamo per specchiarci noi spettatori in prima persona, chiedendoci come avremmo agito o come vorremmo che l’altro agisse in uno scenario decisamente brutale e impietoso come quello delineato.

Poi, va bene, ci sono anche frecciate e differenze culturali d’approccio: un America assai più incline a provocare il male minore, rispetto a una Gran Bretagna molto meno sicura e combattuta sul da farsi. Due forze idealmente diverse e distanti che, pur collaborando, non possono che entrare spesso in disaccordo imbastendo stalli pericolosi, destinati ad andare ben oltre i loro confini. Che poi, come ci suggerisce la Mirren, esistono inglesi e inglesi-americani, mentre al contrario come, invece, ci suggerisce Hood - scadendo nei titoli di coda in un retorico evitabile - di guerra ne esiste una e una sola. Puoi combatterla sul campo, su di un televisore, puoi fare calcoli e tirar giù percentuali, ma per quanto tu possa sforzarti non c’è probabilità di ottenere un lieto fine in cui non venga distrutta, irreparabilmente, la vita di qualche innocente.

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